Francesco, seppur giovanissimo hai già lavorato in Francia, Spagna, Germania, Italia e Inghilterra, i 5 principali campionati
europei. Quali sono le differenze che hai notato in queste competizioni?
Quando si dice, banalmente, che il calcio è lo specchio della cultura del Paese, si dice una mezz verità. Ogni paese ha la sua cultura e, di conseguenza, la sua cultura calcistica con diverse
metodologie di allenamento radicate in ognuno di essi.
Chiaramente ad alto livello queste differenze si assottigliano grazie agli allenatori e ai calciatori internazionali, ma sicuramente qualcosa rimane.
Partendo dall’Inghilterra, quello che sicuramente balza subito agli occhi rispetto agli altri posti in cui ho lavorato, è il livello di intensità.
Anche quando mi capita di guardare le partite dei ragazzini ai parchi, c’è un livello di intensità davvero elevato. Sicuramente anche per un fattore climatico, le piogge sono frequenti e il bambino che va a giocare non può restare fermo.
A livello tattico sento dire che in Inghilterra viene curata poco o nulla, ma non sono d’accordo.
Semplicemente si tratta di un tipo di tattica applicata al calcio moderno, in cui ci sono tante transizioni e picchi di intensità, un tipo di gioco diverso rispetto all’Italia dove invece le fasi del
gioco sono maggiormente riconoscibili, con una intensità più bassa che viene allenata in maniera diversa.
Noi a Napoli abbiamo cercato di essere il più “europei” possibili, allenandoci e giocando secondo quello che è il modello prestativo del calcio europeo. Quando andavamo ad osservare i dati fisici quello che notavamo era che nei volumi eravamo sempre nella media, ma che nelle intensità eravamo invece eccellenti, ed è proprio quest’ultimo parametro ciò che fa la differenza fra un partita di alto o basso livello.
La Germania è molto simile all’Inghilterra, con una qualità media nei giocatori più bassa.
E’ un ambiente però molto giovane, dinamico, fresco, con stadi sempre pieni e grande entusiasmo.
In Spagna il livello tecnico medio è altissimo, anche una squadra di bassa classifica come il Rayo Vallecano era in grado, nel corso della partita, di metterti in mezzo grazie a qualità di palleggio davvero importanti.
In Francia ho lavorato sia a livello di prima squadra che di settori giovanili. Li ho trovato davvero tantissimo talento, in alcuni casi anche sprecato. Si tratta di un campionato molto fisico, con una organizzazione tattica non molto omogenea e con una squadra, il Paris Saint Germain, che ha creato un solco nei confronti di tutte le altre squadre.
Si dice che negli ultimi anni il campionato italiano stia diventando sempre più di basso livello.
E’ vero secondo te e quali sono le cause?
Il problema secondo me è, prima di tutto, culturale.
Qui in Inghilterra, statisticamente, il tempo di gioco effettivo è maggiore che in Italia. Si fischiano meno falli, si perde meno tempo e questo incide non poco. Qui si fischiano circa 5 falli in meno rispetto all’Italia, significa il 25-30% dei falli fischiati nell’intera partita.
Oltre a questo ci sono poi altri fattori che incidono sul maggior livello di intensità: campi sempre perfetti, stadi pieni. Sembra ininfluente ma invece è anche quello che c’è intorno che ti aiuta a
raggiungere un livello del genere.
E chiaramente, migliore è il prodotto, maggiori sono i ricavi dei singoli club, che avendo più soldi possono permettersi di investire sul mercato, acquistando calciatori di qualità. In Premier League ogni partita è incerta, soprattutto se guardi i nomi delle prime 10-12 squadre del campionato.
Nel tuo percorso, a cavallo tra Real Madrid e Bayern hai avuto anche un’esperienza tra i dilettanti.
Si, è successo nel momento in cui mister Ancelotti decise, dopo l’esperienza di Madrid, di attendere un anno l’occasione giusta per ripartire. Mentre stavo per terminare alcuni corsi di aggiornamento mi misi a disposizione del club del mio paese, allenando la categoria Allievi.
Come hai gestito a livello metodologico il passaggio dal Real Madrid di Ronaldo, Benzema e
Sergio Ramos alla squadra giovanile di un club dilettantistico?
Chiaramente ho dovuto cambiare tutto il mio approccio metodologico e pedagogico, però è stata un’esperienza che mi ha aiutato a crescere tanto come quella di Madrid.
Io ho cercato di portare loro entusiasmo e le mie conoscenze e sono sicuro di aver dato loro qualcosa di utile per crescere, così come io, a mia volta, ho ricevuto molto. Con loro ho avuto modo anche di sperimentare, e non perché li abbia utilizzati come cavie ovviamente, ma perché ho potuto perfezionare alcuni aspetti pratici della mia metodologia che mi hanno permesso, per esempio, di salvaguardare più secondi possibili di allenamento.
Puoi farmi un esempio di alcuni di questi aspetti?
Come passare dal riscaldamento iniziale alla prima esercitazione, o come disporre il campo. Sono aspetti per me importantissimi e queste cose si possono allenare.
Per esempio, se ho predisposto un’attivazione che finisce con due allunghi, fare in modo che l’esercitazione successiva sia stata organizzata nella zona in cui termina la corsa dei giocatori. Allo
stesso modo le pettorine, o l’acqua, devono essere tutte in quella zona. In questo modo i tempi morti tenderanno sempre di più verso lo zero.
E' vero che tra i professionisti le persone che sono sul campo a disposizione sono tantissime, ma anche fra i dilettanti, dove gli staff sono molto più risicati, se c'è organizzazione si possono ottenere gli stessi risultati.
Come veniva strutturata la tua settimana tipo nell’esperienza fra i dilettanti?
Con i dilettanti purtroppo bisogna confrontarsi con un fattore che condiziona in toto l’attività svolta: la mancanza di tempo. Due-tre allenamenti a settimana di un’ora e mezza sono troppo poco, e
questo è il grande problema del calcio italiano.
Quello che ho fatto, dunque, è stato cercare di essere il più globale possibile, facendoli giocare il più possibile con regole o giochi funzionali che mi aiutassero a raggiungere ciò che volevo sviluppassero.
Con loro poi mi ero posto anche un altro obiettivo, quello di portarli a voler giocare più tempo possibile.
Li incoraggiai ad andare al campo anche nei giorni in cui non era previsto l'allenamento per sfidarsi a calcio tennis, piuttosto che organizzarsi partitelle all'oratorio per il solo gusto di praticare, che è l'unico modo di sviluppare il talento.
E fra i professionisti?
Dopo anni siamo riusciti ad arrivare ad una settimana tipo dove cerchiamo di integrare la preparazione della partita in termini tecnico tattici con la preparazione fisica che ritiene perfetta e funzionale per le nostre squadre, tant’è che tutte le volte che riusciamo a lavorare secondo questa settimana tipo ne vediamo i benefici.
La nostra settimana tipo ha 5 allenamenti: il primo è un allenamento che chiamiamo second day recovery, e quindi senza picchi di intensità importanti perché chi ha giocato non è ancora in grado di sostenerli. Chiaramente chi non ha preso parte alla partita precedente può integrare con esercitazioni supplementari, sempre che non si sia già allenato dopo la partita o nel giorno libero, ovviamente.
Il giorno successivo rappresenta invece quello del carico principale della settimana. In questo senso siamo passati ad una programmazione della settimana in cui i carichi venivano distribuiti maggiormente ad una in cui invece ci sono giorni con picchi importantissimi quando, dopo aver analizzato un’eliminazione da un turno di coppa, ci siamo accorti di come ci mancasse la partita infrasettimanale, non tanto come stimolo psicologico ma come stimolo fisico.
Durante la competizione si raggiungono picchi che in allenamento si fatica a raggiungere e quindi nel nostro terzo giorno dopo la partita cerchiamo di stimolare il metabolismo lattacido attraverso un numero di accelerazioni e cambi di direzione che ci permettano di raggiungere picchi metabolici
importanti.
Il giorno dopo è un giorno di scarico attivo, dove lavoriamo ad intensità molto basse per permettere al muscolo di recuperare. Qui in Inghilterra poi ci sono dibattiti molto interessanti sul fatto di dare o meno nel giorno di scarico un’ulteriore stimolazione di forza facendo parte superiore in palestra.
In generale comunque questo è un giorno dove si può fare di tutto, dall’esercitazione in palestra all’esercitazione ludica o preventiva. Alcune volte addirittura abbiamo lasciato il giorno libero. Fino agli anni ’90 in Inghilterra la settimana tipo era di 4 giorni con partita al sabato e domenica e mercoledì liberi. Nella nostra metodologia, con il giorno di scarico, abbiamo cercato di riportare questa usanza all’interno della nostra proposta di lavoro e questo è stato apprezzato molto, soprattutto dai calciatori inglesi.
Dopo il giorno di scarico abbiamo una seduta con un volume piuttosto importante dove il focus è però prettamente tattico. La proposta tipo è quella dell’11 contro 11 in cui si va a simulare la disposizione in campo nostra e degli avversari mentre, con l’utilizzo del GPS riusciamo a controllare i valori che ci interessano affinché il carico di allenamento non sia troppo blando o troppo elevato.
In ultimo abbiamo il classico giorno di rifinitura prima della partita.
Che rapporto avete con la data analysis?
Quello della data analysis è un tema interessante e difficile. Io sono arrivato alla conclusione che esistono talmente tanti numeri che siamo arrivati ad un momento in cui ci sarebbe bisogno di filtrarli con l’ausilio di uno statistico che maneggiando i
macro dati riesca a trovare delle frequenze, dei trand, utilizzabili. Oggi poi si possono avere tutti i dati che si vuole. Quelli fisici li usiamo soprattutto in live, per capire se si sta performando all’intensità desiderata, quelli tecnici cerchiamo appunto di filtrarli ed analizzarli secondo quelle che sono le nostre esigenze.
Io personalmente sto cercando di integrare i dati fisici con quelli tecnici, per esempio quest’anno ho fatto uno studio sulla potenza metabolica dei centrali difensivi per cercare di capire se questi dati correlassero con il tipo di partita che avevamo preparato, ed effettivamente era così.
Dopo un periodo iniziale in cui il modulo era il 4-3-3, a causa di alcune defezioni abbiamo cambiato sistema di gioco decidendo anche di adottare un atteggiamento più difensivo, giocando più bassi, e abbiamo visto che in queste partite i nostri difensori centrali hanno espresso una potenza metabolica
molto bassa rispetto a quelle in cui avevamo un atteggiamento più aggressivo. In questo caso, nel caso in cui cioè il dato fisico, quello tecnico e la preparazione della partita combaciano, allora la statistica diventa davvero molto utile.
Se devo guardare il solo numero di passaggi effettuati invece il dato lascia molto più il tempo che trova.
Se non sbaglio ai tempi di Napoli eravate soliti utilizzare un algoritmo che calcolava l’efficacia di un calciatore in campo…
Si, si tratta di un algoritmo basato su alcuni indici, chiamati indici di efficienza che ha di fatto prima di tutto filtrato, come dicevamo prima, i dati totali.
Prendendo come esempio i passaggi è chiaro che non tutti i tipi di trasmissione sono uguali. Questo algoritmo teneva in considerazione quelli con un coefficiente di difficoltà superiore al 33% i quali venivano rapportati alla situazione nella quale avvenivano per fornire un valore che potesse misurare l’efficacia di quel gesto tecnico.
Si tratta di game intelligence personalizzata su ogni giocatore, e si, lo abbiamo utilizzato molto proprio per il fatto che trovavamo che i dati fossero verosimili a quelle che erano le nostre impressioni circa le performance in campo dei calciatori.
Questo indice di efficienza può essere utilizzato anche per quanto riguarda i dati fisici?
Certo che si. Spesso un giocatore più statico tendo ad avere dei dati fisici bassi, e quindi si può pensare che non abbia performato, ma poi l’indice di efficienza ti mostra che un determinato
giocatore quando doveva vincere un duello, per esempio, lo ha sempre vinto. Ci sono giocatori come Cristiano Ronaldo che hanno una fisicità importante, ma se ne osservi i dati di volume ti accorgerai di come spesso sono molto bassi rispetto ad altri giocatori. Eppure in partita poi è spesso e volentieri più che performante. Per questo l’indice di efficacia è sicuramente più utile rispetto a quello del volume, la cosa più complicata è quella di capire poi cosa fare di un determinato dato e come sfruttarlo per implementare la performance dei singoli.
Quando abbiamo iniziato ad utilizzare questo algoritmo, dopo aver ottenuto quella che consideravamo la “pagella” di ogni singolo calciatore, abbiamo discusso per dei mesi su come diventare operativi sulla base di quegli indici.
Come si inquadra in tutto questo contesto mister Ancelotti?
Penso che al mister vada riconosciuto il grande merito di essersi adeguato all’evoluzione del calcio, che dai suoi inizi ad oggi ha cambiato molto soprattutto in termini di metodologia di lavoro.
Spesso ci confrontiamo sulle profonde differenze che ha subito il suo lavoro dai tempi della Reggiana ad oggi.
A noi collaboratori lascia molta libertà, ma questo anche per una questione di esigenza. A certi livelli se non deleghi qualcosa a chi ti sta intorno diventa veramente complicato, perché si hanno
così tanti compiti all’interno di una singola settimana che se questo non avviene non hai proprio il tempo materiale per seguire tutto e bene.
A mio avviso uno dei nostri compiti, quando andiamo in campo, è quello di non portare lavoro pratico al mister, non portargli via tempo per organizzare una seduta per esempio, in modo tale che
possa essere concentrato al 100% su ciò che sta avvenendo.
Quindi nella struttura della metodologia della singola seduta siete voi collaboratori che portate le idee su cosa proporre?
Si, esatto, siamo noi a portare le idee per quanto riguarda le esercitazioni e poi insieme si sceglie cosa proporre, ovviamente in funzione degli obiettivi ricercati.
Solitamente prepariamo la struttura dell’intero microciclo settimanale che poi è sempre soggetta ad eventuali modifiche derivanti dall’analisi delle risposte dell’allenamento precedente.
Per quanto riguarda le singole esercitazioni, invece, sono proposte già consolidate a cui di volta in volta apportiamo qualche modifica strutturale che ci consente di lavorare sugli aspetti tecnico-tattici
che più ci interessano.
Chiaramente poi, una volta che si passa alla parte pratica sul campo è il mister ha grande appeal sui giocatori.
In generale il ciclo di scambio di informazioni nel nostro staff è continuo. Siamo talmente affiatati da permetterci di affrontare i temi di ogni singola partita in maniera molto diretta, senza doverci
preoccupare di cosa si dice e come lo si dice, e soprattutto di farlo in ogni momento e non solo nella riunione ufficiale in cui si va ad analizzare il match precedente.
Come è stato allenare grandi campioni come Cristiano Ronaldo, Lewandowski, Beckham…?
Paradossalmente è più difficile allenare gli Allievi della squadra dilettante piuttosto che il grande campione. Anzi, i grandi campioni, spesso ti aiutano nel tuo lavoro.
L’importante è essere sempre se stessi, anche sul campo, e poi avere una buona sensibilità nel capire chi hai davanti. Ci sono giocatori a cui piace parlare di più, altri di meno e bisogna essere sensibili nel comprendere con chi si sta rapportando.
Se si è bravi a non sbagliare questi modi e questi tempi a livello umano i problemi si azzerano.Ma questo non vale solo nei rapporti con i grandi calciatori ovviamente, ma nella vita in generale.
A proposito del grande calciatore che ti aiuta nel lavoro, mi viene in mente un aneddoto che ho letto che ti riguarda, in cui Cristiano Ronaldo un giorno, commentando una seduta di lavoro particolarmente pesante, ti disse: “Troppa acqua uccide le piante”.
Si, era una frase che lui goliardicamente diceva a noi dello staff quando pensava che il carico fosse troppo importante per quel giorno.
Questa frase di Cristiano ha confermato ciò che pensavamo rispetto al modello prestativo del calcio, e cioè basarsi più sull'intensità e meno sul volume.
A tuo avviso quali saranno i più grandi cambiamenti nei prossimi anni circa le metodologie di allenamento?
Secondo me andremo sempre più verso un modello simile a quello dell’NBA, con un numero di partite tale per cui si sarà necessario fare allenamenti più brevi, di 40-45 minuti. La bravura nel nostro campo sta proprio nel non aver infortuni durante gli allenamenti, dove il carico è controllato, mentre in partita farlo è molto più difficile.
A mio avviso o si accorcerà il volume della stagione, passando dal giocare 9 mesi al giocare un periodo più breve, con un numero di partite più concentrate e con un tempo di recupero “estivo” di 3 o più mesi in cui sarà possibile recuperare.
Questo porterà ad una individualizzazione della stagione e della off-season, in cui ci sarà una particolare attenzione su ogni giocatore per quanto riguarda il volume degli allenamenti effettuati e soprattutto la qualità.
Cosa intendi per qualità?
Poniamo l’esempio di una proposta che voglia migliorare il gesto tecnico del tiro.
Io non posso allenare i miei giocatori tutti nello stesso modo, mettendoli per esempio in fila per poi
fare uno scambio con il mister prima di calciare. Questa è un’attività che può andare bene se il mio scopo è prettamente ludico, ma se voglio implementare la capacità di concludere a rete dovrò diversificare il tipo di proposta fra un centrocampista centrale per esempio, che effettuerà il maggior numero di conclusioni da zona centrale, magari in transizione o in seguito ad una respinta della difesa, ed un esterno, che invece andrà a concludere il più delle volte accentrandosi dalla fascia, e quindi con una direzione di corsa differente.
Se dovessi dare un consiglio ad un allenatore dilettante su come tenere sotto controllo il carico di lavoro prodotto da un’ esercitazione che propone, cosa gli diresti?
Ci sono molti strumenti che un allenatore può utilizzare.
Dal punto di vista fisico ormai è diventato davvero molto semplice ed anche accessibile a chiunque da un punto di vista economico. Basta un solo cardio frequenzimetro. Anche un GPS può essere utile. In alternativa gli altri mezzi utili di cui ci si può servire sono i filmati dei propri allenamenti o, ancora più semplicemente, l’RPE, cioè chiedere al calciatore un riscontro sulla fatica.
I modi sono molti, è chiaro che poi, anche senza nessun tipo di mezzo, l’occhio e l’esperienza aiutano molto.