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Vi racconto Bielsa, intervista a Gaetano Berardi

Il posto giusto al momento giusto per la carriera di Gaetano Berardi, difensore svizzero con più di 300 partite fra i professionisti, fra Italia, Inghilterra e Svizzera, è identificabile con una precisa data e un luogo: Leeds, 15 giugno 2018. Il giorno dell’ufficialità di Marcelo Bielsa come nuovo allenatore della squadra locale.

Fra i giocatori che già facevano parte dello storico e decaduto club inglese c’è anche lui, che già dal 2014 contribuiva alla causa dei Whites, da troppo tempo relegati in Championship, lontani dai riflettori della Premier League rincorsa dalla stagione 2004/05.

L’avvento del Loco nella città del West Yorkshire rappresenta per Berardi, alla soglia dei 30 anni, la speranza di veder coronare il sogno di promozione nella massima serie inglese oltre all’incredibilità opportunità di essere allenato da uno degli allenatori più iconici del calcio mondiale di tutti i tempi. 

Alla fine Gaetano rimarrà sotto la corte di Marcelo, come lo chiama spesso lui, per tre anni, due in Championship ed uno in Premier League, al termine dei quali farà ritorno nella sua Svizzera per proseguire la sua carriera con le maglie di Sion e Bellinzona.

Ho chiacchierato con lui per un’ora abbondante, parlando – ovviamente – della sua esperienza con Bielsa e di quanto le sue idee abbiano influito in quello che sarà il suo – prossimo – futuro da allenatore.

Gaetano, domanda ad alto rischio di banalità tanto da risultare quasi retorica. Fra tutti gli allenatori che hai avuto, chi è quello che ti ha lasciato di più?

Senza togliere nulla a tutti gli altri, ma Bielsa è stato sicuramente l’allenatore più importante della mia carriera, soprattutto considerando anche il momento della mia carriera nel quale lo ho avuto: a 30 anni, nel pieno della maturità e della consapevolezza come calciatore e come uomo. 

Che tipo di allenatore è Bielsa?

Se dovessi definirlo con una sola parola direi, senza dubbio, “esigente”. E’ maniacale nella cura dei dettagli, sotto tutti gli aspetti, sia dentro che fuori dal campo. Allenamenti, riunioni, dieta…tutto con lui è studiato nel minimo dettaglio.

Non mi era mai capitato di lavorare nella maniera in cui ho lavorato con lui. I suoi allenamenti si svolgevano per lo più per mezzo di esercitazioni che ricreavano micro situazioni di gioco che coinvolgevano da 2 a 4 giocatori e lui aveva massima attenzione per l’aspetto individuale: dalla cura della tecnica di base agli aspetti di tattica individuale.

Trovo curioso il fatto che Bielsa non si fermi al concetto di “giocatore evoluto” con pregi e difetti consolidati, ma senta l’esigenza di ricercare un miglioramento continuo in tutti gli aspetti, compreso quello della tecnica individuale. Su cosa si concentravano per lo più le sue correzioni sotto questo punto di vista?

Su ogni aspetto, anche il più basilare. 

In allenamento, per esempio, insisteva molto sul fatto che i passaggi di una certa distanza venissero eseguiti non con l'interno del piede ma con l'interno collo, colpendo la palla di taglio in maniera tale da imprimere più forza e, in questa maniera, facilitare anche il controllo del ricevente, che sarebbe così stato in grado di poter saltare un eventuale avversario che si stava avvicinando già con il primo controllo.

Chiaramente non è stato semplice, le prime volte non sempre la qualità dei passaggi era alta e il più delle volte le abitudini pregresse ti portavano ad effettuare questo tipo di trasmissioni nella maniera classica, con l’interno piede, ma ogni volta lui interveniva per cercare di modificare questa nostra abitudine.

Ti è mai capitato, ascoltando le sue correzioni tecniche, di pensare “a questo proprio non ci avevo mai pensato”?

Si, talvolta è capitato e questo perchè la sua attenzione spesso andava su dettagli, sottigliezze e sfumature a cui è difficile che un calciatore vada a pensare. Rimanendo sul tema “trasmissioni”, come ti dicevo voleva sempre che i passaggi uscissero forti e radenti e per valutarne la qualità guardava il giro che prendeva la palla durante lo scorrimento: se la palla ruotava andando in avanti significava che erano eseguiti correttamente, e lo sottolineava. Al contrario quando invece prendeva un moto rotatorio diverso, magari leggermente in diagonale, ti faceva notare che la qualità della trasmissione non era perfetta.

In che modo veniva accolto da voi giocatori questa esigenza, come la hai definita tu, volta a creare in voi giocatori nuove abitudini anche dal punto di vista tecnico individuale? 

Senza nessun particolare tipo di problema, anche perchè lui era molto chiaro e sottolineava sempre il fatto che non voleva che fossimo dei robot o che ci comportassimo come tali, ma che la ripetizione era l’unico modo affinchè noi potessimo inglobare la gestualità tecnica ed eseguirla senza pensarci.

Nella pratica in che modo si veniva a creare questa ripetizione all’interno del ciclo di lavoro settimanale?

In moltissimi modi. Io ero estremamente affascinato dal suo lavoro e da quello del suo staff per cui diverse volte mi sono recato nei suoi uffici per osservare da vicino come nascevano le proposte che poi noi eseguivamo in campo. Per  ogni situazione ha un plico enorme di esercitazioni possibili. Difesa su palla laterale, uno contro uno frontale…per ogni micro situazione possibile del gioco ha creato un personale playbook pieno di proposte di allenamento.

Come erano strutturate le singole sedute di allenamento? 

Nell’attivazione dava molto spazio ai suoi fitness coach – ce n’erano due, uno suo personale ed uno del Leeds – e al termine ci si divideva in due gruppi, sempre divisi per reparti – attaccanti e difensori, con i centrocampisti che invece, “ballavano” da un gruppo all’altro a seconda del tipo di lavoro – per svolgere esercitazioni a piccoli gruppi. 

Ogni seduta prevedeva moltissime esercitazioni sullo stesso tema, talvolta anche una ventina di proposte, alcune delle quali avevano una durata anche molto breve, 5-6 minuti, ma svolti comunque grande intensità.

Successivamente i lavori venivano inglobati, con gruppo attaccanti e difensori insieme che svolgevano una serie di duelli, sempre inerenti al tema tattico sulla quale si era lavorato in precedenza.

Quando parli di una ventina di esercitazioni specifiche per ruoli da svolgere all’interno di una seduta, intendi dire che erano varianti di una singola esercitazione o si trattava di venti proposte differenti? 

Alcune erano anche varianti di una situazione “macro”, ma molte erano esercitazioni differenti che Marcelo voleva svolgere in preparazione della gara del weekend. Ogni settimana, sulla base dell’avversario che avremmo dovuto affrontare, Marcelo voleva svolgere un tot di esercitazioni su un determinato tema e questo prevedeva appunto il fatto che in una singola seduta si potessero svolgere così tante proposte una dietro l’altra.

A volte, nonostante gli allenamenti molto lunghi, non si riusciva a portare a termine tutto il programma di allenamento, anche perchè a Marcelo piace parlare e spiegare fra un esercizio e l’altro, ma tutto ciò che non si riusciva a svolgere veniva poi recuperato il giorno successivo. Ricordo molto bene che quando noi giocatori guardavamo sull’ipad il programma di allenamento, gli esercizi previsti erano talmente tanti che sembrava non finissero mai.

Su quali aspetti delle esercitazioni appena svolte si focalizzavano gli interventi di Bielsa?

Solitamente dopo un primo blocco di tre-quattro esercitazioni svolte, ci radunava al centro del campo e ci spiegava il perchè di quelle proposte, spesso le riportava a partite precedenti o a quella che avremmo dovuto affrontare successivamente.

Spiegare ai giocatori il perchè di quello che si sta svolgendo è una sottigliezza tanto importante quanto, talvolta, sottovalutata. Ti è mai capitato nella tua carriera di aver svolto esercitazioni o allenamenti senza aver realmente compreso il perchè ti venissero fatte determinate richieste? 

Magari non in maniera così estrema, però sicuramente mi è capitato di aver svolto lavori con una motivazione non troppo chiara o che magari noi giocatori non ritenevamo necessaria per la situazione in cui ci trovavamo in quel momento o per la preparazione della partita.

Come si vive da giocatore una situazione di questo tipo? 

Da giovane tendi ad eseguire e basta, senza porti nessun quesito particolare. Da giocatore più maturo invece è diverso, ed è per questo che mi ritengo molto fortunato, come ti dicevo all’inizio della nostra conversazione, ad aver avuto Bielsa alla soglia dei trent’anni. 

Che rapporto aveva Bielsa con i propri giocatori? 

Non aveva un rapporto molto intimo, anzi, tutt’altro, piuttosto distaccato. Durante gli allenamenti aveva uno stile molto diretto, poche parole, giusto quelle necessarie per far passare il suo messaggio. 

Era invece diverso nelle situazioni in cui si trovava singolarmente di fronte ad un giocatore. In quei casi notavi la differenza, si lasciava andare maggiormente e metteva maggiormente in mostra la sua personalità. 

Tu personalmente come hai vissuto questo distacco relazionale con il tuo allenatore? 

Senza particolari problemi anche se chiaramente un pò qualcosa mi è mancato a livello personale. Pur non essendo uno di molte parole, mi piace intervenire con le mie opinioni sulle dinamiche di spogliatoio e con lui non c’era molto modo di farlo, anche se la sua porta rimaneva sempre aperta, per chiunque e per qualsiasi cosa.

 

Da futuro allenatore come ti vedi rispetto a questo tema? Pensi che adotterai questo stile o preferiresti un rapporto meno distaccato da un punto di vista delle relazioni umane? 

Sicuramente mi piacerebbe avere un rapporto più stretto, ma non mi piacerebbe andare troppo oltre un certo limite perchè ho vissuto anche l’estremo opposto e, per quanto ho visto, non è il massimo avere un rapporto troppo stretto. 

La situazione in cui mi immagino è una giusta via di mezzo.

E in relazione allo stile di gioco, con quali principi e quali idee ti piacerebbe lavorare? 

A dir la verità non sto ancora pensando ai principi che mi piacerebbe portare, per adesso mi sto limitando a studiare molto come impostare una seduta, o un ciclo di sedute, nella maniera più adeguata possibile. Mi piacerebbe avere un’impostazione del lavoro settimanale simile a quella di Marcelo, con la stessa cura dei dettagli a livello individuale sui singoli giocatori.

In quale direzione ti piacerebbe intraprendere la tua carriera da allenatore? Ti vedi più in un contesto di calcio giovanile o preferiresti rimanere nell’ambito delle prime squadre e del calcio “dei grandi”?

Ad oggi ti direi che preferirei partire dai giovani. Mi permetterebbe di avere la possibilità di scoprire che tipo di persona sarei nel nuovo ruolo ed avere maggiore possibilità di sbagliare senza troppe pressioni. 

Nella tua carriera hai giocato diversi anni in Championship, un campionato caratterizzato da molta intensità al cospetto di meno equilibrio tattico. Il Berardi allenatore come modulerà questi due aspetti? 

A me piace la dinamicità ed un calcio offensivo, ma che sia ordinato da un punto di vista difensivo, che abbia una grande solidità, il che non significa necessariamente difendere bassi e con molti uomini. L’ho vissuto anche con Bielsa: a Leeds attaccavamo con moltissimi giocatori ma sempre mantenendo una grande attenzione nella difesa preventiva.

Abbiamo parlato in precedenza di principi di allenamento. C’è invece qualche principio di gioco, fra quelli adottati da Bielsa, che ti piacerebbe far tuo un domani?

Sicuramente la grande mobilità da parte di tutti i giocatori, compresi i difensori centrali. Bielsa ha sempre stressato moltissimi questi continui movimenti negli spazi liberi in avanti per creare superiorità e dare più linee di passaggio ai compagni. C’è stato un periodo in Inghilterra in cui sono stato infortunato per molto tempo e ricordo che guardando le partite dei miei compagni alla tv spesso sentivo dire dai telecronisti che molti dei nostri sviluppi erano azioni codificate e preparate negli allenamenti. In realtà non era affatto così, ciò che era preparato era il movimento, il principio, e non lo sviluppo in sè. Le giocate erano solo una naturale conseguenza.

Trovo questo aspetto molto interessante perchè, a mio modo di vedere, c’è una linea molto sottile che divide le squadre che hanno una preparazione molto “meccanica” a quelle che, attraverso i principi, trovano spesso una determinata soluzione. 

E’ esattamente così. La differenza fra i due modelli che hai descritto la si nota quando le cose non vanno come vorresti che andassero.

Lavorando per principi, quando non trovi una soluzione ne puoi trovare immediatamente un'altra. Meccanizzando un processo il rischio è quello di non trovare soluzioni alternative.

In un contesto di allenamento così tanto incentrato sul singolo e sui piccoli gruppi come, in che modo emergevano questi principi a livello collettivo? 

Attraverso l’altissima specificità delle esercitazione di Bielsa. Ogni proposta simulava una specifica situazione di gioco che veniva proposta nella specifica zona del campo in cui avveniva in partita. Il tutto veniva ripetuto moltissime volte ed ad altissima intensità. Ti faccio un esempio pratico, per comprendere meglio: per allenare questi movimenti in avanti della catena laterale terzino-mezzala-esterno, formava un corridoio in zona di fascia e qui si svolgevano questi continui spostamenti dopo ogni passaggi. Questo è un esempio banale, di un esercizio molto semplice che ci ha fatto svolgere molte volte, con moltissime varianti. Lo stesso veniva svolto anche nelle zone centrali del campo, con altri giocatori coinvolti.

Tornando a te, hai giocato in Italia, Svizzera ed Inghilterra. C’è un Paese in particolare fra questi in cui ti piacerebbe allenare?

Per come è concepito la figura dell’allenatore, mi piacerebbe molto iniziare in Inghilterra, dove le mansioni sono più a 360° negli aspetti manageriali rispetto ad altri Paesi. Nelle serie minori inglesi ci sono molti giovani ex calciatori che hanno avuto la possibilità di emergere nonostante la poca esperienza, da altre parti è più difficile.

Attualmente seguo molto l’attuale mister dell’Huddersfield, che nei miei anni a Leeds era uno dei collaboratori di Marcelo e, precedentemente, è stato mister della U23 del Leeds. Con lui parlo molto, mi ha chiesto molto di De Zerbi, ancor prima che passasse al Brighton, e da lui ho appreso molto sulla figura dell’allenatore e del collaboratore, nello specifico.

Che cosa, per esempio?

Lui, come tutti, ha una sua idea di calcio e magari, non sempre in linea con il pensiero di Marcelo. Lo so perchè appunto il confronto fra me e lui è sempre stato molto aperto. Nonostante questo, quando doveva farci svolgere le esercitazioni, la sua comunicazione si focalizzava esattamente su quello che Marcelo avrebbe voluto, arrivava persino a guidare le esercitazioni come le guidava lui. Questo sembra un aspetto professionale scontato, ma non sempre lo è.

Hai parlato di allenatori giovani a cui non sempre viene data una possibilità di lavoro proprio a causa della giovane età e della poca esperienza, magari spesso troppo presunta. Da calciatore ancora in attività, come accoglieresti un allenatore esordiente più giovane di te? 

E’ una cosa che non mi è mai capitata, ma non credo che mi farebbe un effetto particolare. Semplicemente valuterei la persona per quello che è, senza guardare l’età. Se un ragazzo più giovane di me mi parlasse da allenatore, correggendomi qualche aspetto, lo accoglierei sulla base della qualità della correzione stessa.

Un’ultima domanda Gaetano. Nei tuoi piani futuri, quando inizierà la tua carriera da allenatore?

Valuterò al termine di questo campionato. Sono in scadenza, e sto tenendo in considerazione di partecipare al corso combinato Uefa C e D al termine di questa stagione. Il mio percorso di studi come allenatore, in quanto a corsi da frequentare, sarà in Italia, per il resto vedremo dove il futuro mi porterà.