"La gente spesso definisce impossibili cose che semplicemente non ha mai visto.”
Diceva così una battuta del compianto Robin Williams nel film “Aldilà dei sogni” e se questa frase può esserne considerata una definizione, Mikkjal Thomassen, dal 2015 allenatore del KI Klaksvik, nelle Isole Faer Oer, è stato ad un passo dal compiere l’impossibile.
Per lo meno fino al minuto numero 78 di Dundalk – KI Klaksvik, quarto e ultimo turno dei preliminari di Europa League, orizzonte mai esplorato prima da nessuna squadra locale dal 1992, anno in cui anche le squadre faroesi sono state ammesse alle competizioni europee.
Una palla respinta dalla difesa irlandese che rimbalza pochi metri prima del cerchio di centrocampo.
Un contrasto fra due giocatori, uno nel disperato tentativo di raggiungere il pareggio, l’altro di difendere un risultato che vorrebbe dire qualificazione.
La sfera rimpalla fra i due e favorisce il giocatore del Dundalk, che si trova ora in situazione di 3 contro 1 più il portiere.
Troppo semplice per Daniel Kelly segnare il gol che spegne ogni sogno di rimonta del Kì, fino a quel momento sotto 2-1.
“Ogni contrasto aggiunge casualità al gioco”, dichiarò Julian Nagelsmann nel suo primo anno da allenatore all’Hoffenheim.
E la casualità, a quel minuto 78, ha condannato i sogni e le speranze di una squadra e nazione intera, che per la prima volta si sarebbe vista rappresentata nei grandi palcoscenici calcistici del continente.
E’ curioso, a posteriori, pensare come sia il giovane allenatore tedesco che l’elemento della complessità e dell’incertezza del gioco siano stati entrambi argomenti trattati con questo allenatore in grado di portare il suo Klaksvik a giocarsi l’accesso alla fase a girone di Europa League, quando mai prima una squadra faroese si era mai spinta oltre al secondo turno.
Come è stato il tuo processo da allenatore?
Ho iniziato a giocare in 1. deild (attualmente Formuladeildin, la Serie A faroese) nel 1996 e dopo aver terminato la mia carriera da calciatore ho iniziato subito ad allenare, riuscendo, 4 anni fa, a diventare allenatore professionista.
Prima di allora ho fatto il poliziotto in Danimarca, nella divisione narcotici.
Per 25 anni ho vissuto, in ruoli diversi, il calcio faroense dentro la massima divisione e l’ho visto cambiare in tutto. Prima ci si allenava 4 volte alla settimana più la partita alla domenica, era una sorta di calcio vecchio stile in cui arrivavi, ti allenavi e tornavi a casa.
Circa 10 anni fa però abbiamo iniziato ad avere un approccio molto più professionale.
Quando ho smesso di giocare e sono passato ad allenare, e quindi a studiare il gioco, la prima cosa di cui mi sono reso conto era che non avevamo una cultura calcistica abbastanza profonda, per cui ho iniziato ad educare me stesso.
Ho iniziato facendo un corso di elite di 8 giorni in Danimarca insieme a tanti ex calciatori, e in seguito ho preso la licenza UEFA PRO in Norvegia, nel 2018.
Sono dovuto andare all’estero a formarmi perché ho capito che qui nelle FaerOer eravamo ancora degli amatori, con un’ottima cultura del lavoro, buona attitudine, ma senza le conoscenze calcistiche necessarie per formarmi come coach.
Il tuo percorso di formazione come coach dunque non è stato semplice…
Ho iniziato a visitare di mia iniziativa moltissimi club. Penso di essere stato ospite di una trentina di squadre nel nord Europa, in alcuni casi avendo la possibilità di essere integrato anche allo staff in qualità di studente. Sono stato, tra gli altri, al Wolverampthon, al Las Palmas, al Brondby e nei top club in Norvegia. Ogni volta che la stagione iniziava andavo a visionare gli allenamenti e ad ascoltare gli allenatori, cercando di trarre più informazioni possibili.
In Norvegia, poi, a novembre l’associazione calcistica organizza a fine anno un meeting di studio con tutti gli allenatori dei top football center, con l’obiettivo di scambiarsi informazioni e cercare di acquisire nuove conoscenze, dal calcio ma anche da altri sport come l’atletica, la Formula 1, il basket, il football americano e altri.
Io decisi di partecipare per 4 giorni con il solo scopo di ottenere nuovo materiale di studio e accrescere la mia personale conoscenza per capire come ogni più piccolo dettaglio del calcio viene trattato dai top club.
Questa è la via che ho intrapreso per migliorare la mia personale cultura calcistica.
Quando guardo il calcio qui vedo che in quanto allenatori, siamo ancora molto molto indietro da un punto di vista didattico rispetto ad altri paesi come Danimarca, Italia o altri.
Cosa manca nelle Faer Oer per migliorare?
Penso che il fatto che siamo così indietro dipenda dalla cultura, dalla storia e da quanto sia difficile diventare allenatore.
Nel mio precedente lavoro sono stato in carica a casi di investigazione che hanno coinvolti diversi paesi ma posso dirti che il grado di difficoltà della risoluzione di questi casi non è comparabile alla difficoltà del sapere allenare.
L'attività del coaching è strettamente legata alla complessità del calcio e solamente quando accetti che, in quanto allenatore, ti stai introducendo in un ambiente estremamente complesso allora sarai ad un ottimo punto di inizio nel percorso per imparare ed analizzare
La cultura del coaching nelle Isole è ancora indietro, ci sono aspetti complessi differenti, tecnici, finanziari, di leadership, di knowhow, di allenamento..
Alcuni club non tengono in considerazione tutti questi fattori e perciò combattono costantemente per non perdere terreno nei confronti degli altri; per questo per me è fondamentale per un allenatore essere intelligente e adattarsi velocemente ai tempi e alle circostanze.
Io sono l’unico allenatore professionista nelle isole, tutti gli altri sono semiprofessionisti, ed è differente il tempo che puoi impiegare quando parallelamente hai un altra attività da seguire.
Io, per esempio, ho uno staff di 5-6 persone e ognuno di loro lavora, per cui è mio compito anche preparare il lavoro che dovranno seguire e che spiego loro in un meeting prima di ogni allenamento. Spendo molto tempo in questo e se avessi un’altra occupazione sarebbe impossibile farlo.
Secondariamente, tutti noi allenatori vorremmo pensare che quello che facciamo sia giusto e fatto bene ma dovremmo avere un atteggiamento più critico nei nostri confronti ed essere in grado di fare un’opera di autoeducazione di noi stesso in quanto coach.
In quale modo un allenatore può auto educarsi?
Attraverso la meta-prospettiva. E’ come se in questo momento che io e te stiamo parlando io sia in grado di vedere me stesso seduto qui, analizzarmi e valutarmi. Allo stesso identico modo devo essere in grado di farlo quando sono nello spogliatoio e parlo ai miei ragazzi, devo essere in grado di capire cosa sta succedendo fra me e i miei giocatori.
Trovo che questo tipo di educazione, insieme agli aspetti che ti ho elencato prima, manchino qui nelle isole e ciò fa si che in questo momento siamo molti indietro per poterci considerare allo stesso livello di allenatori di altri paesi.
Anche perché adesso le squadre professioniste si allenano molto i più rispetto a quanto facevamo prima e quindi questo assume anche molta più importanza.

Quante volte vi allenate in una settimana?
Questa settimana, per esempio, abbiamo giocato sabato e ci siamo allenati domenica, lunedì, doppio allenamento martedì, mercoledì, riposo il giovedì e nuovamente allenamento venerdì, con partita di sabato.
Da questo punto di vista ci alleniamo in maniera molto simile se non identica ai top club scandinavi.
Nell’ultimo periodo abbiamo visto diversi giocatori delle isole andare a giocare all’estero, cosa che ha sicuramente contribuito ad accrescere il movimento calcistico delle isole. Vedremo questa esportazione anche per gli allenatori, prima o poi?
A dicembre dello scorso anno, dopo aver vinto il campionato con il Klaksvik sono stato intervistato da una televisione norvegese e in seguito a quell’intervista mi è stato offerto un lavoro nella seconda divisione norvegese, in un buon club, e per me sarebbe stato un passo in avanti.
Dopo aver analizzato la situazione con la mia famiglia ho parlato con il board del club e ho messo tutti noi davanti ad un bivio: potevo andare via, lasciandomi in buoni rapporti ed aiutandoli anche a trovare un nuovo coach che potesse proseguire il percorso che avevamo iniziato, oppure potevo rimanere con l’obbiettivo di alzare costantemente l’asticella, lavorando tutti sempre più e meglio per la crescita del club. Ero perfettamente consapevole del fatto che chiedevo molto, soprattutto ai miei collaboratori che hanno altri lavori a tempo pieno, ma per non c’erano alternative:
se vuoi essere il migliorare nel tuo contesto, anche in un paese piccolo come le Isole Faer Oer, devi lavorare molto e sacrificarti.
La dirigenza ha capito tutto questo e ha accettato tutte le richieste che io ho fatto loro, motivo per cui ho a malincuore rifiutai la proposta in Norvegia e decisi di rimanere qui, venendo incontro anche alle esigenze della mia famiglia.
Qui poi gli stipendi non sono alti, un allenatore guadagna quanto un insegnante e quindi viene anche a mancare lo stimolo economico e anche questo non produce le basi per creare buoni coach ed esportarli.
Da quando ne sei alla guida il Klaksvik ha avuto una crescita importante e costante, diventando un punto di riferimento nelle Faer Oer. Come è stato il processo di crescita del club?
Attualmente abbiamo il club con il budget più elevato del campionato ma quando ho iniziato 6 anni fa il nostro era uno dei più bassi del campionato. Quando sono stato assunto come allenatore ho avuto accesso anche al controllo strategico del club, parte del mio lavoro è anche quella di comunicare con il sindaco e quindi ho iniziato anche a pianificare una strategia finanziaria per il club, iniziando a fare investimenti nello stadio, per esempio.
Quando ho iniziato ad allenare ho chiesto quanto budget avessimo a disposizione per i giocatori , adesso abbiamo il doppio di quel budget.
Allo stesso tempo abbiamo cercato di crescere anche dal punto di vista tecnico, ovviamente. Quando arrivai avevamo una media punti in campionato di 33 punti, quella degli ultimi 6 anni è di 53 in 27 partite.
Siamo diventati più solidi sia dal punto di vista finanziario che tecnico e in più abbiamo giocato per la prima volta in Europa, dove siamo stati negli ultimi anni una presenza costante nei primi turni di qualificazione, ottenendo risultati sempre crescenti, con il culmine dell’anno scorso in cui abbiamo passato i primi due turni di qualificazione (contro il Tre Fiori, di San Marino e i lituani del Trakai) per poi venire eliminati al terzo turno dalla squadra svizzera del Lucerna, con cui abbiamo perso all’andata 1-0 giocando in trasferta e subendo il gol della sconfitta al 93esimo minuto, e al ritorno in casa con lo stesso risultato.
Dopo aver visto i risultati raggiunti per me è diventato ancora più importante avere il controllo dal punto di vista strategico del club, non sono solo un coach che si occupa delle questioni di campo, ma penso al club a 360°.
Quelle delle Faer Oer è uno dei pochissimi campionati semi-professionistici, in cui molte squadre hanno giocatori che durante il giorno svolgono altri lavori. Come è formata in questo senso la vostra rosa?
In questo momento il nostro club ha metà dei giocatori in rosa che sono professionisti e metà non professionisti. La maggior parte dei non professionisti sono ancora studenti che frequentano il college al mattino, quattro di loro hanno un lavoro normale, mentre tre hanno quello che io chiamo “recruited job”. Si tratta di lavori che riesco ad ottenere per loro andando a parlare con alcuni dei nostri sponsor partner, assicurandomi che svolgano all’interno dell’azienda mansioni non dispendiose da un punto di vista fisico e che abbiano condizioni di trattamento speciali che gli permettano di partecipare alle sedute mattutine e di essere sempre presenti agli allenamenti.
In questa maniera riusciamo a costruire un contesto professionale nonostante non tutti i giocatori tesserati con noi sono professionisti.
Il fatto che alcuni giocatori siano professionisti ed altri no, influisce nel tuo modo di rapportarti con loro?
È totalmente identico.
Spesso, come ti dicevo, mi capita di parlare con il loro datore di lavoro chiedendo che vengano esentati da lavori che possano intaccare la loro integrità fisica e che tengano in considerazione anche le nostre esigenze e devo dire che questo aspetto non ci penalizza più di tanto.
Quando abbiamo giocato contro il Lucerna in Champions League ho avuto la percezione che dal punto di vista fisico e atletico, in quanto a capacità di corsa e di velocità, noi eravamo superiori.
Come allenatore sono molto ispirato al gioco ad alta intensità del RB Lipsia e dal loro controllo della partita. Anche noi vogliamo controllare le partite, non soltanto dal punto di vista difensivo ma anche da quello offensivo, e certamente per raggiungere questo tipo di risultato il tuo deve essere un corpo sano, devi mangiare sano, devi educare i tuoi giocatori in tal senso ogni giorno e implementare in loro una mentalità tale che siano abituati al fatto di dare in ogni allenamento il 100% di loro stessi, e in questo senso non c’è alcuna distinzione per me fra giocatori professionisti e non professionisti.
Con ognuno di loro poi, ritengo sia assolutamente importante avere molte conversazioni, cerco sempre di stare il più possibile vicino a loro, in ogni circostanza, ma so che devo essere anche molto duro, brutale a volte, quando l’occasione lo richiede.

Nelle Isole Faer Oer voi siete la squadra da battere, mentre quando giocate nelle competizioni europee partite quasi sempre da sfavoriti. Immagino che da un punto di vista strategico non sia molto semplice per te preparare partite completamente diverse fra loro…
Per ogni gara che andiamo a giocare cerco di dare ai miei giocatori più informazioni possibili circa il nostro avversario, sia a livello di collettivo che individuale, perché i miei giocatori devono essere bravi ad adattarsi ad ogni tipo di competizione ed io devo aiutarli in questo senso. Il mio assistente, che era stato precedentemente assistente nel Valerenga, in Norvegia è rimasto molto impressionato il primo anno, quando ha potuto notare quanto dettagliate fossero le informazioni che davo ai miei giocatori prima di ogni gara, sia nelle gare di campionato, quando siamo favoriti. che in Europa quando invece siamo gli sfavoriti.
Certamente abbiamo una identità che cerchiamo di mantenere intatta e riconoscibile in ogni partita, seppur con modalità differenti. L’elemento del pressing ne è un esempio: in campionato siamo costantemente aggressivi cercando di difendere sempre in avanti ma questo atteggiamento dobbiamo modificarlo quando giochiamo in Europa contro squadre più forti di noi. Contro il Lucerna per esempio abbiamo alternato momenti in cui ci difendevamo bassi, restando con tutti i giocatori sotto la linea della palla, ad altri in cui invece c’erano presupposti perché la squadra facesse pressing in avanti cercando di conquistare palla in una zona potenzialmente pericolosa.
In quali circostanze, per esempio, la tua squadra doveva effettuare il pressing alto?
Durante la rimessa del portiere per esempio, oppure in caso di rimessa laterale nel loro terzo di campo, dovevamo creare i presupposti per il pressing, sapendo quelle che erano le nostre priorità su cui avevamo lavorato in allenamento e in quelle occasioni la squadra doveva essere estremamente aggressiva. Negli ultimi dieci minuti del primo tempo contro il Lucerna in Champions League abbiamo avuto almeno tre chiare occasioni da gol nate da una palla recuperata in quelle circostanze.
Ovviamente non potevamo avere sempre lo stesso livello di intensità per tutta la partita, alla lunga avremmo pagato per mancanza di energia fisica o mentale, per cui abbiamo cercato di limitare il pressing alla massima intensità a 4-5 occasioni duranti la partita, mentre per il resto del tempo abbiamo difeso sotto la linea della palla.
Hai parlato in precedenza delle informazioni che dai ad ogni giocatore prima di ciascuna partita. Ti avvali anche di un match analyst?
No, faccio tutto da solo.
Il mio staff è composto solo da persone che lavorano nel calcio a tempo parziale, hanno tutti un altro lavoro, e per me questo è stata ed è motivo di miglioramento costante perché devo cercare di sopperire a questa situazione cercando di migliorare me stesso.
Quando abbiamo giocato contro il Lucerna ho guardato le loro partite dei loro ultimi 6 mesi per esempio, passavo le giornate ad eseguire match analysis, analizzando ogni situazione di gioco, da mattino a sera.
E’ sicuramente faticoso ma è un lavoro che mi rende migliore come coach. Quando hai studiato in precedenza la squadra contro cui giochi, e hai accumulato materiale su di loro, è più semplice restare fuori dal campo, riesci a capire meglio le dinamiche che stanno avvenendo in campo e a spiegarle ai giocatori in maniera più chiara.

Il campionato delle Isole Faer Oer è un campionato dove solitamente si segnano molti gol per partita, la tua squadra l’anno scorso però ha vinto il campionato subendo poco. Si dice che per difendere bene bisogna sapere attaccare meglio, è stato così per voi?
In campionato siamo una squadra che gioca con una linea difensiva molto alta e si, sicuramente sono ispirato come ti dicevo prima della filosofia del RB Salisburgo, ma altresì lo sono anche da altri allenatori innovativi e con un preciso stile di gioco, come Julian Nagelsmann per esempio. A me piace che la mia squadra oltre ad essere molto aggressivo, sia anche molto ambiziosa quando è in possesso della palla.
Nel calcio odierno devi essere molto preparato e bravo abbastanza in ogni aspetto del gioco, non puoi concentrarti solamente su uno di questi due aspetti, motivo per la quale, se analizzi la mia squadra potrai vedere che abbiamo partite in cui abbiamo avuto un fantastico gioco posizionale, in cui abbiamo terminato la partita con 800-900 passaggi, abbiamo avuto 16 clean sheet mantenendo una linea difensiva molto alta; certamente è incomparabile con i più grandi campionati europei ma abbiamo cercato di riprodurre quello che il Liverpool fa in Inghilterra.
Abbiamo inoltre lavorato molto sulle transizioni, cercando di non tralasciare nessuno aspetto del gioco.
In settimana svolgiamo diversi lavori in cui la squadra lavora in situazione di 10vs0 e ciò mi permette di implementare alcuni concetti del gioco posizionale, curare le posture del corpo e la trasmissione della palla, ma subito dopo aver concluso a rete metto in campo un altro pallone e in quel momento la squadra deve essere immediatamente pronta a reagire alla nuova situazione (transizione).
Abbiamo un grande focus sull’allenare la mentalità dei giocatori e sul cambio di approccio sulla base della situazione di gara.
Quando giochiamo in Europa l’approccio è molto differente, molto più di controllo e di attenzione, e questo anche per la natura stessa della competizione nelle gare di qualificazione: hai solo a disposizione due partite, e se sbagli non hai chance per poter recuperare.
Come avviene nella pratica, l’allenamento della tua squadra al cambio costante cambio di mentalità?
Prima di tutto cerco di allenare me stesso, guardando partite di ogni tipo di campionato e nazione.
Secondo il modello prestativo del calcio possiamo dividere il calcio in 4 fasi: fase difensiva, fase offensiva e le 2 transizioni. Partendo da questo si possono poi costruire diversi sottogruppi: in fase di possesso distinguiamo la zona 1, intesa come zona di costruzione, la zona 2, e cioè la zona di rifinitura e la zona 3, la zona di finalizzazione.
Allo stesso modo, in fase di non possesso, facciamo la stessa distinzione per sapere come e quanto portare il pressing: il nostro comportamento e le nostre priorità cambiano a seconda del terzo di campo in cui ci troviamo.
Quello che io cerco di fare con la mia squadra è di trasmettere tutte le informazioni necessarie ai giocatori per il loro comportamento in ciascuna di queste zone del campo in base alla situazione di gioco, possesso, non possesso o transizione.
Sono aspetti che alleniamo ogni volta, prima analizzando le partite precedenti, e poi sul campo, con esercitazioni specifiche, magari anche con qualche aggiustamento rispetto a quanto fatto in precedenza, o anche con partite 11 contro 11.
Quando dobbiamo preparare una partita in cui siamo sfavoriti, semplicemente ci concentriamo maggiormente su quegli aspetti della fase di non possesso che ritengo siano quelli sulla quale lavoreremo maggiormente in partita. Per questo il cambio di mentalità non è così difficile come può sembrare perché per la squadra ciò che alleniamo non è totalmente nuovo, in quanto abbiamo già lavorato in precedenza su come comportarci quando la palla è in possesso degli avversari e ci troviamo nel nostro ultimo terzo di campo, i giocatori sono già a conoscenza delle basi teoriche dei loro comportamenti da attuare.
La preparazione degli allenamenti e le conoscenze e le idee dell’allenatore giocano dunque un ruolo fondamentale…
Ogni allenatore si porta dietro il proprio background come giocatore, come persona, come studente, come coach e tutto questo messo insieme fa si che sia una persona unica, nessuno può vedere le cose nella stessa identica maniera in cui le vede lui.
Spesso mi sono chiesto quale sia il modo migliore per far si che i giocatori, adulti o bambini che siano, trovino all’interno dell’allenamento le migliori possibilità per imparare.
E l’unico che può trovare questa risposta è l’allenatore, perché si tratta del suo modo di allenare, del suo stile di gioco, delle sue idee, che talvolta si devono anche unificare con l’identità del club (penso a club con una forte identità tipo Barcellona, Real Madrid, Atletico Madrid, RB Salisburgo).
Per quanto mi riguarda penso che ruoti tutto sull'implementazione, e per me implementazione significa creare allenamenti intelligenti, che possano permettere all'allenatore e alla squadra di esprimere loro stessi
In ogni mio esercizio, che sia un esercizio sul passaggio od un riscaldamento, o un possesso posizionale, l’obbiettivo è l’implementazione dello stile di gioco, non esistono esercitazioni che siano decontestualizzate da tutto questo, perché non alleneresti i giocatori a quello che loro troveranno poi in partita, e il tempo per abituarli a farlo non è molto.
Dopo l’idea di gioco e l’implementazione, ovviamente, c’è anche il piano di gara, che è una cosa a parte e che non può prescindere dai due punti precedenti.
Il calcio ruota attorno alle vittorie, tutti noi ci alleniamo per vincere, e il piano gara per come lo vedo io ha due funzioni: deve servire all’allenatore per ottimizzare le chance di vittoria e deve servire all’allenatore come compromesso, perché le sue richieste nel piano gara non potranno mai discostarsi troppo dall’idea di gioco trasmessa alla squadra: se hai sempre allenato la squadra ad avere un pressing alto, non potrai chiedere all’improvviso nel tuo piano gara di difendere molto bassi. Il piano gara ha un costo, e in fase di elaborazione ogni allenatore dovrebbe pensare a quanto è disposto ad allontanarsi dalle sue idee di gioco, dalla sua filosofia e dal suo modello.