Il 18 marzo 2021, con una nota ufficiale sul proprio sito, il Fatih Karagümrük SK, club della Süper Lig turca, annunciava Francesco Farioli come nuovo tecnico della Prima Squadra, facendo del tecnico toscano il più giovane allenatore italiano su una panchina di una massima divisione europea. 32 anni ancora da compiere, Farioli ha iniziato il suo percorso da allenatore giovanissimo, all’età di 19 anni, quando dopo aver appeso i guantoni ai chiodi inizia ad allenare nelle giovanili di Margine Coperta e Montemurlo.
“Ho sempre vissuto il mio ruolo di giocatore con estrema professionalità, anche fra i dilettanti. Per anni ho lavorato con l’ambizione di arrivare un giorno fra i professionisti, una sana illusione con cui mi sono dovuto confrontare però quando realizzai che le possibilità di realizzarle da giocatore erano di gran lunga inferiori a quelle che avrei potuto avere in altre vesti, e così iniziai ad allenare.”
Dopo le prime esperienze con i ragazzini, a 21 anni il salto fra i grandi, ma sempre nel mondo dei dilettanti, in Eccellenza, dove allena i portieri della Fortis Juventus.
La sua voglia di emergere, lo studio, il sacrificio e il suo metodo di allenamento lo porteranno a farsi conoscere grazie all’utilizzo dei social, in cui lo stesso Farioli condivide materiale video relativo ai suoi lavori. Una costante questa che lo porterà prima in Qatar, all’Aspire Academy, e poi fra i professionisti, nello di Roberto De Zerbi.

“Quella della Aspire Academy è stata per me un’università, ha cambiato radicalmente il mio modo di vedere il calcio, analizzare le partite, preparare gli allenamenti, e ha cambiato anche me stesso, nel modo di approcciare agli allenamenti.
Lì ho avuto l’opportunità di lavorare a stretto contatto con tecnici per lo più proveniente da Spagna e Portogallo e grazie a loro ho toccato con mano il vero significato di “metodologia”, un termine che spesso in Italia viene utilizzato in maniera poco consapevole, senza conoscerne il significato in profondità.”
Come definiresti una metodologia di allenamento?
Un insieme di esercizi, esercitazioni e proposte finalizzate al raggiungimento o la creazione di una certa idea di gioco. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che fa la differenza. Penso ai massimi livelli in Italia e a mio avviso, oggi, di squadre con una idea di gioco ed una metodologia realmente marcate e forti, ne trovo davvero poche.
Un altro aspetto importante è proprio questo, la differenza fra idea e modello di gioco…
Esattamente, anche questo è un aspetto che spesso crea confusione e fraintendimenti. Ogni allenatore ha la sua personale idea di come gli piacerebbe far giocare la sua squadra ma poi bisogna sempre confrontarla con il materiale umano e tecnico che si ha a disposizione, che è quello che crea il modello. Troppo spesso si vedono allenatori di settore giovanile che ripropongono le esercitazioni viste su internet di grandi allenatori in maniera del tutto decontestualizzata. Prendiamo come esempio il 4 contro 4 + 3 jolly di Guardiola. Ho visto con i miei occhi allenatori proporre questa esercitazione in allenamento per poi, in partita, arrabbiarsi se il centrale di difesa usciva centralmente anziché ricercare il terzino che mandasse l’esterno alto in profondità. Capisci bene che è del tutto incoerente.
Quanto è importante per te avere una continuità di metodologia di lavoro? Penso per esempio a ciò che avviene spesso nei settori giovanili in Italia, soprattutto dilettantistici, con gruppi di ragazzi che passano da un allenatore ad un altro talvolta con idee e metodologie completamente differenti.
Ritengo che sia importante, ma che quello realmente manca in Italia sia un confronto di un certo tipo.
In Aspire, prima di iniziare, mi venne spiegato il modello di gioco che si voleva implementare, strutturato e argomentato principio per principio. Chiaramente ogni allenatore, oltre ad alcune esercitazioni che ci venivano suggerite, aveva libertà di proposta, ma dietro ad ogni scelta di mezzo allenante da utilizzare c’era sempre una discussione prima che venissero applicate sul campo. Ogni giovedì dovevamo presentare il programma della settimana successiva ai nostri responsabili i quali guardavano il lavoro presentato e, sulla base di quello, approvavano o apportavano modifiche in una riunione che facevamo con tutti i tecnici alla domenica mattina. Ovviamente la supervisione non era solo settimanale, ma anche quotidiana.

Quali principi segue la metodologia Aspire?
Per rispondere a questa domanda è necessario comprenderne gli obiettivi. Aspire nasce nel 2004 come accademia volta a formare e preparare una nazionale calcistica che fosse competitiva per i mondiali in Qatar nel 2022. E la base di partenza era pressochè nulla. Nel mio primo anno il modello di gioco era diviso in 9 fasi, ognuna delle quali rappresentava una differente modalità di gioco. Quello che veniva ricercato era il far conoscere ad ogni calciatore dell’accademia tutte le possibili idee di gioco, da un gioco maggiormente posizionale ad un calcio di squadra compatta e contropiede o un calcio di seconde palle. Questo perché nel 2022 i calciatori che sarebbero stati convocati avrebbero dovuto essere pronti a giocare con ogni tipo di allenatore, fosse esso Guardiola, Conte, Zidane o, come invece probabilmente sarà, un allenatore formatosi nella stessa accademia.
Ecco che quindi torniamo a quanto detto in precedenza, e cioè all’importanza della scelta del tipo di proposta allenante da utilizzare. Ogni quanto avveniva il passaggio dal lavoro su una determinata modalità ad un’altra?
L’idea generale era quella di un calcio basato sul possesso, e quindi il periodo del gioco posizionale occupava la maggior parte del tempo. Poi all’interno di questo venivano effettuate delle settimane in cui l’obiettivo era appunto differente e allora si, molto spesso le proposte esercitative erano completamente differenti.
Oltre a questo, cosa ti ha lasciato l’esperienza Aspire?
L’aver toccato con mano quanto il lavoro possa stravolgere il percorso di un ragazzo. Mi ha dato tantissima consapevolezza su quanto un allenatore possa incidere e mi ha liberato dal tormento del risultato, cosa che mi è tornata molto utile nell’esperienza di Benevento.

Passiamo proprio a questa. Come è avvenuto il passaggio con mister De Zerbi?
Sono stato contattato dal mister dopo aver pubblicato una mia analisi sul Foggia. Da lì siamo rimasti in contatto fino a che, una volta ricevuta la chiamata di Benevento, mi ha contattato per far parte del suo staff. I sei mesi di Benevento sono stati molto duri sotto tutti i punti di vista perché avevamo le pressioni ereditate dalla situazione di classifica e anche perché era la mia prima esperienza, ma sono stati allo stesso tempo il periodo più bello, perché pieni di emozioni e con uno spogliatoio pieno di personalità splendide. Mi viene in mente Sagna, passato dal Manchester City al Benevento, con una umiltà ed un amore incredibili, o Sandro, che poco tempo prima giocava la Champions League con il Tottenham. Ragazzi e giocatori con un cuore enorme.
Come è stato dover gestire un periodo così lungo in cui dare la consapevolezza ai giocatori che il percorso intrapreso fosse quello giusto senza che però arrivassero i risultati?
Da parte mia, come ti ho anticipato prima, l’essermi aggrappato al percorso di studi di Aspire mi ha aiutato molto. Nello spogliatoio invece l’aria che si respirava quando siamo arrivati era che molti attendessero con ansia il mercato di gennaio per trovare situazioni migliori. Fu fondamentale la comunicazione nei confronti dei giocatori, il far percepire loro la nostra convinzione riguardo alle nostre proposte e il focalizzare la nostra attenzione sui miglioramenti tangibili e non solo sul risultato.
Quale era il messaggio che mister De Zerbi ha cercato di portare una volta entrato nello spogliatoio?
Mister De Zerbi è stato incredibile per la forza del messaggio con la quale è entrato. Disse che chiaramente la vittoria era quello per cui avremmo lavorato, e che scelse Benevento perché aveva la profonda convinzione che i giocatori presenti avrebbero esaltato la sua idea di calcio e viceversa. Quella che inizialmente sembrò una scelta infelice si rivelò invece un’esperienza che temprò molto anche noi dello staff, perché anche a Sassuolo, quando arrivarono momenti difficili fummo più pronti per affrontarli.

Dopo Benevento, il passaggio al Sassuolo…
Sassuolo è stata una consacrazione molto più veloce di un’idea. Nel primo anno siamo partiti fortissimo, esprimendo un ottimo calcio e ottenendo ottimi risultati fin da subito, salvo poi avere una leggera flessione nell’arco della stagione. L’anno scorso invece l’inizio è stato complicato, forse il momento più difficile della nostra gestione, mentre il finale è stato entusiasmante, raggiungendo un livello di consapevolezza davvero importante.
Che cosa rende cosi speciale De Zerbi?
La forza del suo messaggio, che poi è il suo tipo di calcio, è la forza e la coerenza di attendersi ad essa sempre, in allenamento e in partita. Non penso ci siano tanti altri segreti oltre a questo. Il resto lo fa la sua qualità come allenatore e come persona. E’ un allenatore che non vuole perdere nemmeno un secondo di lavoro, incredibilmente esigente con se stesso, il suo staff, i suoi giocatori, che vive per il calcio ventiquattro ore al giorno.
Consigli che diventa il portiere che effettua più passaggi filtranti nei massimi campionati europei è semplicemente frutto dell’idea di calcio di mister De Zerbi o dietro c’è stato un lavoro più profondo?
E’ una sommatoria di fattori. Il mister mi chiese di lavorare con lui perché convinto del fatto che potevo portare delle idee forti anche in quel micro mondo che è poi il ruolo del portiere, che io ho sempre immaginato come un giocatore di movimento. Ho sempre pensato di dover fare le cose utili e non quelle rischiose e per me utilizzare il portiere in fase di costruzione è sempre stato più utile che rischioso. Consigli raggiunse il record europei di passaggi filtranti in una partita, che giocammo contro l’Atalanta, e da tante sue giocate riuscimmo ad andare in porta direttamente. Fu un dato sicuramente particolare che fu frutto dell’idea iniziale del mister, delle novità che cercai di presentargli e dell’intelligenza e della disponibilità di Consigli stesso, che fu disponibile a modificare il suo modo di interpretare il ruolo a 32 anni.
Come stai vivendo il tuo nuovo ruolo in Turchia?
In maniera molto serena, ciò che cambia per me è solo il fatto che anziché andare solamente con i portieri adesso vado con tutta la squadra. Mi ha aiutato sicuramente molto il fatto che mi sono sempre occupato di match analysis, preparazione di partite o strategie di gara da applicare, così come la scelte di mezzi allenanti. La differenza è che prima ciò che proponevo veniva valutato e filtrato, adesso invece ho l’opportunità di esprimermi e poter decidere.
Come sarà Francesco Farioli allenatore? Quale sarà l’idea di gioco che proporrai?
Il contesto qui in Turchia è molto differente e questo ovviamente ha il suo peso. In Italia la preparazione delle partite è più semplice, se giochi contro una squadra di Di Francesco, per esempio sai che ti puoi aspettare vengano attuate determinate soluzioni e ti prepari per quelle, idem per gli altri allenatori. Qui è molto più complicato perché non sai mai ciò che le squadre avversario metteranno in campo e dunque dovrò essere bravo nel preparare la mia squadra ad affrontare qualunque tipo di situazione.
Per me la parola chiave è coerenza: io devo allenare i miei giocatori ad essere pronti ad ogni scenario possibile, ma per farlo devo esserlo prima io di loro.
Affronterò stimoli differenti ma sono sicuro che vivrò un’esperienza assolutamente stimolante e formativa.