“E' stato un piacere, ho trovato la nostra conversazione interessante. Per me condividere è sempre un piacere, io imparo tanto osservando ed ascoltando quello che gli altri hanno da dire. Ho formato una mia identità anche attraverso la condivisione, per cui parlare di calcio per me è sempre un piacere. Perchè è la mia passione, e perché trovo piacere nel condividere e trasmettere quella che è la mia esperienza. E dico 'esperienza' e non idea di gioco perché il gioco è il gioco e non penso che esista una 'mia' idea di gioco, lo troverei presuntuoso. Il gioco ha una sua natura e l'obiettivo di noi allenatori è studiarla e rispettarla nel miglior modo possibile, con grande umiltà. Perchè il ruolo di allenatore è un ruolo importante.”
I risultati non arrivano mai per caso, si sa, e quelli del Sudtirol di questo campionato di LegaPro 2021/22 poggiano sulle basi delle parole di chi questa squadra la sta portando, al momento in cui scriviamo, al primo posto nel girone A con 8 punti di vantaggio sulla seconda, frutto di 19 vittorie, 6 pareggi e ancora nessuna sconfitta ma, dato ancor più sorprendente, 34 gol fatti e soli 6 subiti in 25 partite giocate: osservazione, ascolto, condivisione, passione, rispetto, umiltà, consapevolezza.
Ho avuto il piacere e l’onore di poter beneficiare di un’ora di webinar privato con Ivan Javorcic e quella che segue è la trascrizione completa del pensiero, del metodo e della visione dell’ex tecnico di Brescia, Mantova, Pro Patria ed attuale artefice della fantastica cavalcata del Sudtirol.
Mister, in passato ha fatto benissimo sia alla Pro Patria che a Brescia, con cui hai vinto anche a livello giovanile, ma quello che state facendo quest’anno è qualcosa di sorprendente. Il club Sudtirol ha dimostrato di essere un ambiente molto favorevole per poter lavorare, in cui diversi allenatori hanno seminato molto ben negli ultimi anni, ma come nasce questa squadra che sta raggiungendo livelli davvero molto alti?
Nasce prima di tutto da uno studio profondo effettuato sulla squadra prima ancora di arrivare. Aldilà del contesto tecnico tattico, che sapevo essere molto elevato grazie all’ottimo lavoro svolto da mister Vecchi che mi aveva preceduto, cercavo di cogliere dei dettagli che mi permettessero di capire quanto avrei potuto incidere con il mio metodo di lavoro sulla squadra, sotto tutti i punti di vista. In questo senso è stato poi decisivo il lavoro di confronto svolto con il nostro direttore sportivo in fase di costruzione della squadra, un processo iniziato già negli anni passati con mister Zanetti e mister Vecchi, che hanno lasciato un’impronta importante alla squadra. Una volta arrivato il lavoro principale è stato di osservazione e ascolto. Avevo necessità di capire, attraverso il lavoro quotidiano, quanto i ragazzi erano in grado di apprendere e quale direzione, a livello di identità tattica, la squadra poteva prendere. Ascoltavo molto i pareri di tutti, ma poi sviluppavo una mia idea di ciò che potevamo essere e questo è un processo che vale tutt’oggi, siamo ancora nel mezzo della nostra evoluzione, stiamo cercando costantemente di migliorare e penso che abbiamo grandi margini per poterlo fare.
Durante il periodo di studio prima ed osservazione poi, che cosa cercavi di cogliere? Caratteristiche tecniche, modalità di relazionarsi…?
Nello studio precedente al mio arrivo ho guardato entrambe le cose, oltre alle caratteristiche dei singoli mi interessava molto cogliere la qualità delle relazioni all’interno di questo gruppo e ho fin da subito avuto la percezione che fossero di alto livello e, soprattutto, che potessero esserci i presupposti per incidere ancora in maniera ancora più profonda.
Una volta arrivato invece ho cercato di capire che tipo di modello di gioco avrei potuto implementare sulla base della predisposizione dei giocatori a certi principi.
Quanto hai dovuto modellare la tua iniziale idea di gioco per arrivare al modello attuale?
Quando io sono arrivato avevo la consapevolezza di inserirmi in un contesto di squadra che negli anni precedenti aveva fatto molto bene e aveva dunque maturato un certo tipo di sicurezze, sia nel modo in cui si allenava sia in quello in cui giocava. Il mio compito, lo sapevo fin dall’inizio, era quello di migliorare un qualcosa che già si era avvicinata molto all’eccellenza. Si tratta di una squadra che possedeva già un’ottima cultura del lavoro, abituata ad allenarsi e a giocare con grande intensità, molto verticale. Io ho cercato di incidere nei dettagli, nel portare una pressione alta più precisa, così come la difesa della nostra porta e le palle inattive. Ho cercato di trasmettere una struttura che permettesse di avere un controllo diverso dal punto di vista del ritmo in entrambe le fasi del gioco e ho cercato di stimolare nei ragazzi la curiosità di voler apprendere nuovi aspetti del gioco e la voglia nel voler ripetere, se non addirittura migliorare, gli ottimi risultati degli anni precedenti. Gli aspetti in cui un allenatore può incidere nel lavoro quotidiani sono moltissimi.
Hai parlato di ritmo, un concetto cui spesso gli allenatori fanno riferimento. Spesso si parla di ritmo associandolo solo ad alta intensità, ma personalmente penso che avere il controllo del ritmo significhi sapere quando giocare molto in verticale, come accennavi prima, e quando invece è necessario avere un tempo di gioco, se non due, in più. Come sei intervenuto nella tua squadra per lavorare sul controllo del ritmo?
Avere ritmo nel gioco per me significa avere il pieno controllo dei momenti della partita, anche a livello strategico: rallentare per poi accelerare, tornare indietro per poi trovarsi ancora più avanti di prima. E’ la natura stessa del gioco che ti porta ad avere questa variazione di ritmi. E’ vero poi che l’interpretazione del calcio moderno porta ad una intensità importante, sia per la qualità tecnica e atletica dei giocatori, che per le idee “aggressive” e sempre più coraggiose degli allenatori.
Penso che una squadra debba essere completa nel suo pensiero: feroce, aggressiva, verticale, intensa in alcuni momenti della gara, ma anche riflessiva in altri.

Raggiungere questa consapevolezza è molto complicato, noi abbiamo provato ad arrivarci per gradi, somministrando piccole gocce di conoscenze poco alla volta e con il supporto di tanto materiale video che potesse evidenziare alcune situazioni di gioco o allenamento che ci interessavo per implementare determinate conoscenze nella testa dei ragazzi.
Penso che la chiave di molti successi sia spesso da trovare in questo, nella voglia di miglioramento costante.
Mister, i numeri vanno sempre interpretati ma spesso sono indicativi di un determinato trend. Nel caso del Sudtirol di quest’anno, poi, c’è addirittura molto poco da interpretare: 6 gol subiti in 25 partite sono numeri sorprendenti (al momento in cui scrivo il Sudtirol è la seconda miglior difesa d’Europa, dietro all’Ajax, che ha 5 gol subiti, ma in 22 partite giocate, ndr). Questo dato è più frutto di una fase di non possesso preparata nei minimi dettagli o di una fase di possesso ancora migliore?
E’ una bella domanda, perché spesso si giustifica un risultato del genere facendo riferimento solo ad una delle due fasi, quella di non possesso, ma secondo me il gioco del calcio è caratterizzato da una correlazione molto stretta di tutte le sue fasi e per far fronte a qualsiasi problema bisogna avere un approccio globale, olistico.
Noi sicuramente abbiamo una cura maniacale del dettaglio dal punto di vista tattico su quello che è il modo di portare il pressing, sulle caratteristiche dell'avversario, e lavoriamo molto anche sull'aspetto emotivo, nel sentimento e nel piacere di difendere la nostra porta, ma sono assolutamente convinto che il modo in cui svolgiamo la fase di possesso ci aiuta tantissimo ad essere efficaci nella fase di non possesso.
Il controllo delle posizioni ci permette di essere efficaci in una fase del gioco in cui il possesso è degli avversari, così come quando, al contrario, la palla la abbiamo noi. Nel nostro campionato non sempre è semplice essere sempre impattanti da questo punto di vista: ci sono avversari molto aggressivi, molte interruzioni, la qualità dei campi non è sempre alta. Ci sono molti fattori che interferiscono con il concetto di controllo.
In questo contesto irto di ostacoli, guardando il suo Sudtirol appare però evidente come la sua squadra abbia sempre un comportamento proattivo. Questo arriva più dal contesto di allenamento settimanale o da un lavoro mentale sulla testa dei giocatori?
Sicuramente entrambe.
Un'idea si allena.
Tanto passa dal lavoro quotidiano, dalla filosofia che cerchi di implementare, sui principi che vuoi che la tua squadra metta in risalto alla domenica, sulla propria identità e sulle proprie sicurezze per incidere sul controllo della partita, che rimane comunque un concetto delicato. Il calcio è un gioco che per sua natura è molto complesso, più lo studio e più ci trovo complessità, e penso che l’obiettivo dell’allenatore sia quello di semplificarlo accettando comunque questa sua natura complessa. Poi è normale che all’interno del gioco stesso ci sia anche una logica strategica che ti porta anche a studiare le criticità e i punti forti del tuo avversario. Penso che sarebbe da presuntuosi non farlo.
L’allenatore viene spesso associato a colui che è adibito ad avere il controllo di tutti gli aspetti della sua squadra, quando invece è l’esatto contrario: allenare al gioco significa creare contesti complessi e, dunque, imprevedibili. Si parla di ridurre l’incertezza ma forse è più importante imparare a navigarci in questa incertezza.
Sono d’accordissimo con te, una delle poche certezze del gioco è che è incerto ed è il motivo per cui insegnare il gioco è davvero molto difficile, soprattutto nelle leve più piccole, dove il gioco non si insegna, semplicemente si impara attraverso le esperienze. Un allenatore sicuramente potrà incidere sulla tecnica o sulle conoscenze generali, ma a giocare si impara vivendo il gioco, ed oggi purtroppo questo lato intuitivo, creativo, sta venendo a mancare. Manca la strada, manca il vissuto, mancano le esperienza del semplice giocare che creano l’imprevedibilità del giocatore.
Prima ha parlato di idee allenabili. Quale è l’idea alla base delle strutture di allenamenti del Sudtirol?
La settimana è sostanzialmente divisa nelle fasi ovviamente, partiamo da quella di possesso, in cui individuiamo una zona di costruzione, una media ed una di rifinitura/finalizzazione. Il macro principio è quella di avere una squadra molto fluida nel suo approccio posizionale, con un’occupazione razionale degli spazi che possano permettere di creare zone di superiorità o, negli ultimi trenta metri, situazioni di uno contro uno.
In fase di non possesso ci piace rompere l’idea dell’avversario avendo un dominio anche senza palla, con il principio base di recuperare la palla il prima possibile. Lavoriamo molto sulla resistenza alla concentrazione nella difesa della nostra porta e sulla ferocia nel voler recuperare il possesso, e questo è necessario perché talvolta nei settori giovanili manca questo tipo di cultura.
Nelle transizioni abbiamo differenti principi sulla base della zona di campo in cui ci troviamo.
Nella settimana tipo del Sudtirol questi principi vengono allenate secondo una modalità precisa?
No, lasciamo molto spazio a quella che è l’interpretazione della singola settimana, anche se solitamente, parlando in percentuali, la parte di allenamento dei principi in situazioni in cui siamo in possesso della palla può essere identificata fra il 70-75%, soprattutto nei primi giorni della settimana. A partire dal giovedì poi è possibile che si vada anche a curare la preparazione strategica della singola partita, che è differente da domenica a domenica. In tutto questo ovviamente troviamo il tempo anche di curare le palle inattive. Può sembrare un paradosso che una squadra che passa così tanto tempo a curare la fase di attacco poi possa risultare solida, ma per noi è davvero importante farlo, per mentalità, ma anche per caratteristiche dei giocatori, che ovviamente incidono sempre molto nella costruzione del modello.

Come è organizzata la settimana tipo di lavoro del suo Sudtirol?
Nella costruzione della settimana ha influito molto, come ti dicevo prima, le abitudini che i ragazzi avevano consolidato dalle ottime gestioni di chi mi aveva preceduto. Questa squadra era abituata a svolgere molto lavoro atletico, e dunque sono stato io a dovermi adattare a questo, riducendo la mia idea iniziale di tempo che avrei voluto impiegare al lavoro sul nostro modello di gioco, anche se poi, col tempo siamo arrivati a ciò che volevamo.
In generale, comunque, i primi due giorni della nostra settimana sono rivolti principalmente al lavoro con palla sui nostri principi di gioco, mentre dal giovedì iniziamo a proporre sedute più specifiche del piano partita.
Facciamo un altro passo indietro, tornando ad un concetto interessante della sua precedente risposta. Come si allena alla concentrazione? Un allenatore incide più nel tipo di proposta esercitativa o con un lavoro maggiormente improntato sul lato umano?
Si può incidere in molte modi. Sul campo può derivare dalla complessità dell’esercizio, oltre che da quanto tempo ci passi e dal modo in cui lavori. Bisogna alzare sempre l’asticella, stressare anche in un certo senso il giocatore e l’allenatore può incidere molto: l’impatto che ha nell’esercitazione, l’energia e l’intensità che ci mette, il tono della voce.
Che allenatore è Ivan Javorcic durante la seduta di allenamento?
Concettualmente mi piace essere feroce ed intenso durante l’esercizio, sono sempre stato abituato ad incidere molto nell’allenamento.
La mia evoluzione come allenatore però mi ha portato a delegare maggiormente quest’anno, molti dei lavori svolti sono stati preparati e gestiti da Leandro Greco, il mio collaboratore più stretto da un punto di vista tecnico, e questo mi ha permesso di avere una visione differente della seduta, cogliendo dettagli che mi hanno permesso di entrare nella seduta al momento più opportuno, senza il rischio di risultare poi inefficace nel tempo.

Approfondiamo questo tema dell’osservazione dell’allenatore nella singola esercitazione, soprattutto quando la vive in maniera più “distaccata”. Che cosa deve guardare? Su cosa bisogna porre l’attenzione? In ambito giovanile il focus delle correzioni vertono sulla tattica o tecnica individuale. In un contesto di prima squadra professionista è uguale?
Non penso che la prospettiva cambi più di tanto sinceramente. Soprattutto quando la squadra ha una buona conoscenza di base dei principi sulla quale stai lavorando, quando osservi puoi incidere maggiormente sul dettaglio: posture, spazi, qualità dei passaggi. Tutti aspetti che rappresentano le basi del calcio e che, proprio per questo motivo, sono di fondamentale importanza. Assumere un atteggiamento maggiormente osservatore mi permette inoltre di cogliere determinati comportamenti di alcuni giocatori, soprattutto quelli lontani dalla palla, incidendo sulla loro preparazione ad una possibile giocata, il loro profilo posturale, la loro personale osservazione del gioco. Il gioco non ha mai una pausa, lo devi sempre pensare, altrimenti ti ritrovi impreparato.
Mister, in precedenti interviste hai dichiarato di avere due passioni particolari: gli scacchi e la musica jazz. Entrambe vengono molto spesso accostati al calcio, i primi associati ad un calcio forse “scientifico”, posizionale, la seconda ad un gioco fluido, armonioso, meno “preparato”. In quale dei due concetti ritrova di più il suo Sudtirol?
In entrambe perché così è il gioco nella sua natura. E’ studio, è scienza, ma è anche arte, imprevedibilità, capacità di leggersi e adattarsi. Le similitudini con gli elementi del jazz e degli scacchi sono molte: il caos organizzato e l’auto organizzazione della musica, l’apertura, la parte media, la chiusura del gioco, la strategia e l’intensità di pensiero degli scacchi. Trovo questo gioco un ottimo mezzo per allenarsi ai momenti della partita, è un gioco dove c’è la competizione e dove c’è quindi la ricerca della vittoria. E più conosci il gioco più possibilità hai di vincere.