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La genesi di un comportamento istintivo

Se un millepiedi dovesse pensare a come coordinare ognuna delle proprie innumerevoli gambe, probabilmente non camminerebbe mai. Se non ci pensa e si affida all'istinto, invece ci riesce.

Ora, non mi è dato conoscere anatomicamente le funzioni di un millepiedi, può non essere questa la
logica secondo cui loro funzionano.
Sono sicuro però che secondo questa stessa logica funzioniamo noi umani, che rimaniamo
paralizzati di fronte al tentativo di razionalizzare qualcosa che non può, per un motivo o per l’altro, essere razionalizzato.

Condizione da cui solo l’istinto può tirarci fuori.

Un altro racconto.
Nel momento in cui nasciamo nel nostro cervello sono presenti tanti neuroni quante sono le stelle della Via Lattea, si stima sui cento miliardi.

Il maturare dei neuroni va a pari passo con il maturare delle loro sinapsi.
Per ogni neurone ve ne sono 2.500 alla nascita, circa 15.000 a tre anni di età. Le sinapsi meno utilizzate vengono eliminate come parte naturale del proprio processo evolutivo.
Il cervello è però un organo neuroplastico, cioè modellabile a seconda di come viene nutrito: alimentazione, pensiero, attività fisica, sonno. Ognuno di noi può prendere le redini del controllo del proprio cervello. E decidere ciò che vuole essere.

Esiste poi un luogo, sulla terra, in cui questi due aneddoti s’incrociano, s’intrecciano e decidono che mai più, mai più si lasceranno andare. Quel luogo è lo studio sul ritardo della consapevolezza, da cui partiremo per raccontarci quanto abbiamo da dire. Perché è proprio in quel lavoro di ricerca che presentavo l’importanza nello sport, e in particolare nel calcio, di allenare la risposta inconsapevole.
Se è vero, e ho dimostrato che è vero, che in media il tempo minimo di risposta inconsapevole di un calciatore nell’epoca contemporanea è di 500 ms mentre la relativa consapevolezza ritarda di circa 160 ms, allora ne è una conseguenza che all’interno della zona di gioco, quella dove troviamo una densità di giocatori tale da trasformare lo spazio in un luogo in cui il tempo per pensare non c’è, la nostra reazione è per lo più guidata dall’istinto e dalle relative funzioni neuronali.

Necessitano quest’ultime del contesto-mirror, quel contesto d’allenamento che deve riproporre lo scopo della partita fondandosi sui sette pilastri dell’allenamento neuronale: palla, compagni, avversari, orientamento, transizione e libertà di movimento spazio-temporale, oltre che sullo scopo
stesso.

Ma costruire il migliore dei contesti non basta. In origine c’è di più, e la genesi di un comportamento istintivo richiede un’opera maggiore da parte di noi allenatori.

Se parliamo di istinto, così come di consapevolezza, riconosciamo come l’azione motoria nasca in risposta a uno stimolo, per cui non si può che parlare di un metodo che attribuisca sistematicamente
alla percezione, la priorità cronologica sull’azione.

Ad un input visivo segue un output motorio. Affinché poi questo output sia di natura inconscia, è necessario, per il loro corretto funzionamento, che tra i neuroni che si attivano esistano delle connessioni sinaptiche.
Le sinapsi sono i collegamenti tra i neuroni che consentono loro una comunicazione reciproca,
metaforicamente delle strade che ne collegano uno con l’altro.

Non esistono tra neuroni che mai sono stati attivati o che non lo sono da molto tempo, per tanto vanno create.

Il loro fenomeno di genesi avviene durante l’attivazione dei neuroni stessi.
Nel nostro caso la si ha sia nel momento in cui vi è un riconoscimento dell’intenzione, che durante l’esperienza dell’azione stessa. Parliamo quindi del fenomeno della ripetizione, intesa, trattando di neuroni specchio, come ripetuta esperienza di un’azione con uno specifico scopo.

La sinapsi permette di agire d’istinto. La ripetizione crea la sinapsi. Tuttavia, la natura di questa ripetizione è ben diversa dalla definizione classica della stessa.

All’interno del contesto-mirror, abitato da compagni ed avversari in movimento, le circostanze sono mutevoli e incontrollabili, le situazioni sempre diverse. Un solo giocatore in una posizione diversa porta alla creazione di una ragnatela relazionale modificante la sostanza del momento.
La ripetizione di cui parliamo non sarà quindi la replica di un movimento sempre uguale, bensì quella di un comportamento ugualmente finalizzato, cioè con lo stesso scopo.

Ripetizioni sì, ma sempre diverse, con l’unico punto in comune che s’identifica nel fine.
Il focus, sia per l’imprevedibile e sempre diverso contesto in questione che per l’intrinseca natura dei
neuroni specchio, si sposta definitivamente sullo scopo.

Esistono poi due tipi di ripetizione.
Quella precedente al fenomeno di formazione delle sinapsi, e quella a loro successiva.

Sono di diversa natura, perché se nella seconda l’azione inconscia è già possibile, nella prima vi è la necessità di utilizzare la consapevolezza.

Affinché un giocatore riesca a soddisfare un compito che gli viene posto per la prima volta, è indiscutibile che lui pensi a quello che deve fare, a come farlo e a perché.
L’allenatore, oltre a guidarlo nell’acquisizione di queste informazioni, deve creargli all’interno del contesto-mirror una circostanza tale per cui nasca un input visivo che generi la necessità di un determinato output motorio, fedele al comportamento che si vuole allenare e trasformare in
istintivo.
Questa condizione è resa possibile dall’utilizzo dei vincoli, di cui si è scritto minuziosamente qui su Area Coach, che essi derivino dall’esercitazione o dall’essenza intrinseca del gioco. Si tratta di comportamenti che emergono ripetutamente grazie a degli stimoli interni all’allenamento. Comportamenti di cui però non si è mai avuta esperienza, che devono quindi essere
razionalizzati, pensati, gestiti con la consapevolezza necessaria per finalizzarli correttamente.

Inevitabilmente, hanno bisogno di un intervallo minimo di tempo per essere realizzati.
Se nella risposta inconsapevole 500 ms sono mediamente necessari per agire correttamente, quella
dettata dalla consapevolezza ne esige, almeno, 660.

Si noti, inoltre, come queste pratiche siano definite contestuali, perché per quanto possa essere lasciato alla consapevolezza il tempo di svilupparsi, devono comunque essere ripetute all’interno del contesto-mirror.
L’implicazione del funzionamento dei neuroni specchio verte, infatti, non solo sull’istintività dell’azione, ma anche e soprattutto nel riconoscimento del suo scopo, senza il quale viene annullata l’efficacia del processo di formazione del transfer tra allenamento e partita che ogni metodologia ha il dovere di creare.

Il processo segue allora questa logica.
Percezione, consapevolezza, che richiede tempo, e reazione.

Stimolo, consapevolezza, risposta.

Input, consapevolezza, output.

Ripetutamente, affinché si generi una sinapsi solida e specifica.

Ripetutamente, sì, ma quanto?

Karyn Purvis, pedagogista attiva nel settore di ricerca e sviluppo della TCU, università di Fort Worth, nel Texas, sostiene che una sinapsi si generi di fronte a 10-20 ripetizioni se queste avvengono
all’interno di un contesto reale di gioco (nel nostro caso, il contesto-mirror), mentre ad un contesto che ne è estraneo ne occorrono 400 per ogni sinapsi.

Ancora, il professore argentino Robert Rosler, che ho avuto il piacere di ascoltare al terzo congresso
internazionale di neuroscienze di Brescia, mostra più precisamente che in media 24 ripetizioni (sempre contestuali, s’intende) generano una solida sinapsi in grado di trattenere l’80% di quanto imparato o allenato.

Dunque, sono questi i numeri di ripetizioni utili alla genesi di una sinapsi, la quale permette di iniziare a trasformare un comportamento da razionale a inconsapevole.

Numeri relativamente bassi se consideriamo quante volte, a seconda anche della qualità dei vincoli utilizzati, una risposta può ripetersi in un solo minuto di attività.

Numeri inoltre variabili e soggettivi.

Le relazioni create nel tempo con un gran numero di giocatori mi hanno infatti portato alla convinzione di come il talento del giocatore incida sulla velocità nell’interiorizzare (rendere istintiva)
una richiesta di comportamento.

Capacità su cui risultano mediamente più abili anche le giocatrici femmine.

La qualità dei vincoli può inoltre interagire attivamente nella realizzazione diretta di un comportamento inconscio, creando un ponte sulla razionalità.

Quando un vincolo è talmente forte da rendere praticamente obbligatorio un comportamento, il giocatore può adempiersi direttamente alla sua esecuzione senza doverci nemmeno pensare, in quanto farne a meno significherebbe ignorare e violare le regole del gioco stesso.

Esiste poi un modo per progredire nello sviluppo delle sinapsi senza una ripetizione pratica.

Si tratta della visione, reale o tramite video, o dell’immaginazione (motor imagery) dell’azione di cui si vuole fare esperienza.
Sappiamo bene come questo porti all’attivazione degli stessi neuroni specchio che si attivano durante la pratica di quell’uguale azione finalizzata.

Si fa esperienza non solo praticando, ma anche, seppur con entità diverse, osservando o immaginando.

A tal proposito, uno studio svolto da Maddalena Fabbri Destro, Giacomo Rizzolatti e dall’intera equipe scopritrice nel 1988 dei neuroni specchio, si è interessato di comprendere quale fosse il
miglior modo per sollecitare l’apprendimento di un comportamento motorio complesso, prendendo come esempio i famosi nodi da marinaio.
Nell’esperimento sono stati utilizzati tre tipi di training differenti. Il primo fatto di tante ripetizioni pratiche. Il secondo di una continua osservazione seguita solo alla
fi
ne da una prova pratica. Il terzo di un’alternanza equilibrata tra osservazione ed esecuzione.
Il risultato ha mostrato come questo terzo metodo, attivando il sistema motorio in due diversi modi
(indiretto con l’osservazione, diretto con l’esecuzione), garantisse una migliore performance e quindi, in questo caso, un miglior apprendimento.

Ecco allora la dimostrazione di come l’osservazione ci venga in aiuto nel creare le ricercate giunzioni sinaptiche.

Più saranno le sinapsi, poi, tanto maggiore sarà la capacità di comunicazione tra i neuroni specchio.
Allora i comportamenti devono continuare a replicarsi, certo, ma in un modo ora diverso.

Se inizialmente vi era spazio per la consapevolezza, dopo la prima sinapsi (24 ripetizioni/osservazione dell’azione) i comportamenti possono generarsi in modo inconscio, ed è nostro dovere
fare in modo che questo accada.

È nostro compito trasformare quelle che abbiamo definito come strade, in autostrade neuronali.
Iniziamo a spingere la pressione, a diminuire il tempo. Ora i nostri vincoli richiedono gli stessi comportamenti, ma in un tempo minore. Lo spazio si è ridotto o si è addensato di giocatori. Il tempo per pensare, non c’è più.
Iniziamo ad allenare l’istinto.

I termini s’invertono.
Percezione, reazione, consapevolezza. Stimolo, risposta, consapevolezza.
Input, output, consapevolezza.

S’invertono e si presentano per come lo faranno in partita. Per come noi dobbiamo allenarli.

Le ripetizioni continuano, si generano nuove sinapsi, ogni volta che osserviamo il comportamento in video o da un nostro compagno si generano nuove sinapsi, le autostrade s’inseriscono in una reta concatenata che unisce sempre più neuroni e in maniera sempre più solida. L’esperienza aumenta, e
con lei la capacità di rispondere inconsapevolmente.

Poco tempo dopo la pubblicazione dello studio sul ritardo della consapevolezza, ho avuto l’onore di essere invitato dal mental coach Gabriele Colombo al suo podcast, SHEVA.
Parlando proprio di questa metodologia, abbiamo riflettuto sul quanto sia sottile la linea che separa l’allenare l’istinto dal non farlo, e di come sia difficile gestirla in contesti anomali.

Il calcio è in continua evoluzione, e il movimento che lo circonda deve stare al passo con i tempi.
C’è chi invece, anticipandoli, ottiene un vantaggio.

Da qualche anno hanno iniziato a fiorire nel nostro territorio delle accademie calcistiche curanti il giocatore come individuo.

Oltre che allenare in una squadra, ho il piacere di allenare anche in una di queste, che prende il
nome di Baiata Academy e che si occupa in primis della preparazione tecnica e posturale del calciatore. Un’esperienza che mi ha fatto luce su quanto sia importante il riguardo non solo del collettivo, ma anche dell’individuo, come giocatore e come persona.

Il coefficiente di difficoltà nell’allenare efficacemente l’istinto in un contesto individuale, sale enormemente. Per quanto si possa provare a ricostruire la realtà della gara, vengono a meno i pilastri indispensabili del contesto-mirror: compagni e avversari.
Le fondamenta su cui abbiamo costruito il nostro castello, iniziano a oscillare. La gestione di una metodologia fruttuosa è ancora più difficile.
L’obiettivo dell’allenamento è però qui diverso e va compreso. Si cerca di imparare il calcio non più per inserirsi all’interno di una catena di relazioni, bensì per acquisire lo strumento necessario per poter giocare al meglio, che sia questo tecnico, posturale, tattico, mentale, atletico o fisico. Ciò che tuttavia non cambia è la natura del gioco, e con lei la necessità di allenare l’istinto. Nell’allenamento del collettivo la pressione è determinata dal gioco stesso, e l’allenatore può controllarla attraverso i vincoli spaziali. Un numero sufficiente di ripetizioni contestuali avvenute per mezzo della consapevolezza, che richiede tempo e quindi un rapporto spaziale favorevole, porta
velocemente alla genesi delle sinapsi. Nasce così la possibilità di rispondere inconsapevolmente. Il campo si rimpicciolisce o si addensa, e la pressione trasforma questa possibilità, in necessità.

Nel nostro allenamento individuale il focus è invece diverso, ma il percorso è guidato dagli stessi principi.
L’obiettivo delle esercitazioni si traduce nell’apprendimento di un’esecuzione istintiva attraverso l’acquisizione di una postura che consenta di migliorare il risultato e di minimizzare il tempo di
esecuzione. Il giocatore necessita di mantenere il corpo nella migliore delle posture per non perdere il tempo dell’esercizio.

La padronanza dell’attività viene aiutata da una strumentazione capace di controllare minuziosamente l’utilizzo dell’input e il tempismo dell’output.

Ed è la conseguenza di una conoscenza molto più dettagliata e specifica del calciatore.

Avendo testato, come esposto nello studio sul ritardo della consapevolezza, i tempi minimi di reazione inconsapevole e di presa di coscienza del calciatore, distinguiamo le soglie sotto cui, o sopra cui stare, per allenare l’una o l’altra cosa.

Sollecitato dalla percezione di uno stimolo esterno il calciatore inizia eseguendo quanto richiesto (nel caso considerato per la prima volta, o dopo tanto tempo dall’ultima) entro un intervallo minimo che tiene conto non solo del tempo di presa di coscienza, ma anche di quello d’esecuzione.

La diversa complessità della situazione porta infatti il calciatore ad un impiego proporzionato di tempo per controllare il proprio corpo e finalizzare l’esecuzione.

Al termine del numero sufficiente di ripetizioni funzionali alla genesi delle prime sinapsi, la soglia temporale viene abbassata verso il tempo di reazione minimo in modo da allenare unicamente l’istinto, e il comportamento finalizzato continua a ripetersi.

Se invece l’esercizio non gli è nuovo, non vi è la necessità di utilizzare la consapevolezza e si può iniziare direttamente con il tempismo adatto all’istintività dell’esecuzione.

L’attività di cui abbiamo parlato all’interno del podcast riguardava l’esercizio allenante la visione periferica, in cui il giocatore, posto di fronte a quattro luci ad altezza viso, due laterali e due diagonali, deve indicarci di che colore è la luce opposta a quella di colore arancione. Entro un tempo definito, e con la palla tra i piedi, in un’esecuzione che può variare dalla pratica del Teqball a un controllo orientato con la palla che viene restituita da due tappeti elastici. Si tratta di un’azione di ricerca visiva, in cui bisogna ciclicamente trovare prima la luce arancione, per poi voltare lo sguardo di 120° in direzione di quella opposta.

Prendiamo come esempio R.T., giocatore classe 2007 con una media di 465 ms di risposta inconsapevole e 168 ms di ritardo della consapevolezza (633 ms di presa di coscienza).
L’attività inizia e la palla viene messa in movimento.

Il primo input è dato, oltre che dal momento iniziale, dalla conclusione del ciclo precedente, che si traduce con la comunicazione del colore opposto, e ha come output quello di dover cercare, tra le quattro, la luce arancione. Una volta trovata parte un secondo stimolo, la cui risposta s’identifica nella ricerca della luce opposta. Infine, la comunicazione verbale.

Due percezioni, due reazioni, una comunicazione.

L’esistenza della consapevolezza, o l’alternativa presenza del solo istinto, sono determinate dal tempo lasciato a disposizione.

Quando il giocatore non ne ha mai fatto esperienza o non ne fa da diverso tempo, e la nostra missione è la genesi della prima sinapsi, allora dev’esserci spazio per la presa di coscienza (633 ms). Quindi, 633 ms tra il primo input e il primo output.
Poi, 633 ms tra il secondo stimolo e la seconda risposta.

Infine, 168 ms per prendere consapevolezza del colore opposto, a cui segue la relativa comunicazione.

Per un totale di 1434 ms.

L’esercitazione viene così impostata su un cambio del colore delle luci ogni 1500 ms, in modo che, non appena il colore viene comunicato, inizi un nuovo ciclo. Va poi notato come in questo caso non sia minimamente stato considerato il tempo per guardare il pallone. Il nostro obiettivo è che il giocatore apprenda come tenere una visione periferica con la palla tra i piedi. È altamente probabile che inizialmente si necessiti di un tempo maggiore proprio per riuscire a chinare la testa e prendere pieno controllo del mezzo (il tempo di esecuzione citato in precedenza).
Questo tempo viene poi ridotto gradualmente per spingere a guardare sempre meno la palla, fino ad una piena sicurezza e capacità nel farlo, come nel caso considerato di R.T.

Come citavo prima, solo una postura (della testa) corretta consente di eseguire correttamente il comportamento senza perdere il tempo dell’esercizio.
Motivo per cui spingiamo la pressione temporale al punto da non lasciare spazio a nessuna postura che non sia la migliore. Il giocatore viene guidato alla consapevolezza che solo non guardando mai la palla l’esercizio sarà svolto correttamente. Giocare in questo modo è però tanto difficile quanto utile. All’interno di un minuto di attività, intervallo cui siamo soliti a proporre, questo ciclo di 1500 ms viene ripetuto quaranta volte. Il comportamento di ricerca visiva è doppio in ogni ciclo: sono ottanta in un minuto.
Tra le quattro e le cinque sinapsi sono state generate. Siamo pronti ora a lavorare unicamente sull’istinto.
Per R.T. lo spazio tra la percezione e la reazione si trasforma in 465 ms, con 168 ms finali di presa di coscienza del colore da comunicare.

Il totale è di 1098 ms. L’attività viene posta con un cambio di colore delle luci ogni 1000 ms, 98 in meno, in modo da spingere ulteriormente la pressione per portare il giocatore a una velocità d’esecuzione sempre più alta e, coordinatamente all’esperienza, a un tempo di reazione sempre minore.
Un ciclo di 1 secondo si traduce, in un minuto, in 120 ripetizioni di un comportamento finalizzato, oltre sei sinapsi.

Percezione, reazione, consapevolezza.

In quest’ordine.

In partita così come nelle nostre esercitazioni.

L’attività prosegue, le ripetizioni, ora esclusivamente istintive, continuano.
La pratica viene alternata dall’osservazione di immagini sul campo di questo comportamento,
oppure dei giocatori durante l’esercizio stesso, promuovendo così anche un auto-valutazione.

È la base di una metodologia che allena l’istinto per garantire il migliore dei transfer tra quello che si è allenato e la partita.

Per dare al giocatore la possibilità di liberare la carica di pensiero affidandosi all’istinto, risparmiando un notevole impiego di energia cognitiva.

E per dargli il migliore degli strumenti per poter giocare a calcio, senza rimanere vittima della velocità del gioco.

Perché se un millepiedi dovesse pensare razionalmente a come muoverli tutti coordinatamente, mai riuscirebbe a camminare. E invece non ci pensa. E cammina.

Davide Spadoni

21 anni, allenatore di calcio presso la società Baiata Academy.