12 luglio 2022, ore 21.55. Triplice fischio di Hibernians F.C. – Shamrock Rovers. Nonostante una buona prova complessiva, il risultato di 0-0 non è bastato ai maltesi guidati dal neo mister Andrea Pisanu, assunto poco più di 72 ore prima, per ribaltare l’ereditato risultato di 0-3 del turno precedente.
<<Abbiamo fatto una buona partita in cui nel primo tempo abbiamo creato molto volume di gioco e forse meritavamo qualcosa di più del pareggio. Nel secondo tempo, ovviamente, più passava il tempo e più diventava per noi difficile, complice anche il dispendio di energie fisiche e mentali. Peccato per come è andata ma a livello personale me la sono goduta tutta. Stavo per preparare le valigie per andare in vacanza ed invece mi sono ritrovato a dover preparare una partita di Champions League. Per chi come me vive di pane e calcio è il massimo.>>
Questa conversazione – effettivamente conclutasi con un reciproco augurio di buone ferie – è avvenuta proprio pochisimi giorni prima della sua nomina a nuovo allenatore del club campione di Malta in carica. Ho chiesto al mister la possibilità di potersi mettere a disposizione per illustrare in prima persona e nella maniera più approfondita possibile il suo personale modo di lavorare e ne è nato un documento – quello di cui verranno pubblicate in seguito alcune parti – che il mister stesso ha messo a disposizione per riassumere filosofia, valori, ideologie, principi metodologici ed operativi. Una sorta di manifesto personale che mostra come tecnici giovani, con idee chiare, fresche e capacità relazionali e comunicative idonee per poterle trasferirle in campo, esistano. Basta solo sapere dove cercare.

Mister, partiamo dal principio: ‘Andrà come noi faremo in modo che vada’. Cosa rappresenta per te questa frase?
Queste parole per me rappresentano l’espressione massima di ciò in cui più credo quando si parla di gestione di uno spogliatoio. Nel calcio ad alti livelli non esiste niente di giusto o sbagliato, ognuno ha il suo metodo e la storia insegna che vittorie e sconfitte si ottengono con ogni tipo di idee, anche diametralmente opposte. Ciò che fa la differenza è il modo in cui queste vengono trasmesse alla squadra nel contesto in cui si sta operando. Ti faccio subito un esempio. Prendiamo due fra gli allenatori più importanti dell’ultimo decennio: Guardiola e Simeone. Il primo ha uno stile di gioco estremamente offensivo, il secondo ha un approccio che lo porta ad essere decisamente più difensivo. Può piacere più l’uno o più l’altro, ma di certo non si può affermare che uno di questi due stili sia giusto e l’altro sbagliato. Per come la vedo io sono due allenatori d’elite perché entrambi sono in grado di comunicare e trasmettere le proprie idee in maniera così profonda ed efficace che i giocatori sono i primi a farle proprie, convincendosi che siano quelle giuste per loro. Il concetto che intendo esprimere con questa frase è esattamente questo.
Nella mia idea di calcio ogni squadra dovrebbe porsi come uno degli obiettivi da raggiungere quello di avvicinarsi ai propri limiti mantenendo una chiara idea di gioco. Fin dal primo periodo del pre campionato punto molto su alcune aree, alcune delle quali non sono strettamente connesse a questioni tecnico tattiche quanto, invece, ad un piano mentale. Se prima non si crea un certo tipo di mentalità, diventa dura dire alla squadra prima di una partita “Ok ragazzi, adesso usciamo e andiamo a dominare il gioco.”
La mentalità è alla base di tutto.
Cosa significa per te “dominare il gioco”?
Molto spesso si banalizza il concetto di dominio riducendolo solo al concetto di alta percentuale del possesso di palla, ma a mio parere quando si effettua un’analisi relativamente al dominio di una squadra i fattori da tenere in considerazione sono più di uno.
Senza dubbio il dato sul possesso è il primo parametro indicatore: più tengo il pallone fra i piedi e più possibilità ho di essere pericoloso e più posso controllare i tempi del gioco.
Il secondo fattore è il numero delle occasioni da rete create, da non confondersi con il gol. Il gol è un evento raro della partita, mentre invece le occasioni da rete sono situazioni che accadano con maggiore frequenza in una partita e possono essere un buon indicatore di quanto una squadra abbia dominato o meno il gioco: tiri da dentro o fuori l’area, eventuali situazioni potenzialmente molto pericolose, anche se non finalizzate con un tiro in porta, cross, punizioni negli ultimi 25 metri…
Il terzo è lo stile di gioco. Quando guardo una partita e noto che una delle due squadra ha uno stile di gioco ben definito ed una mentalità chiara e riconoscibile, per me quella è una squadra vincente, a prescindere dal risultato. A queste squadre potrà anche capitare di perdere una partita avendo una percentuale di possesso palla pari al 60-70% e il doppio delle occasioni da rete create rispetto agli avversari, ma avranno una mentalità tale per cui non si faranno mai sviare dal loro percorso.
In che modo vai a stimolare questa forza mentale che i giocatori devono sviluppare?
Quella che tu chiami forza mentale io la chiamo mentalità vincente. Per me la mentalità vincente è uno stato che si raggiunge nel momento in cui si riesce a tenere una linea costante nonostante i risultati, siano essi positivi o negativi. Nel mio passato da calciatore ho potuto toccare con mano la grossa differenza fra i grandi campioni e i giocatori “normali”. Per accorgersene basta guardare i risultati. E’ ovvio che i giocatori di alto livello hanno qualità tecniche superiori, ma la loro forza sta anche e soprattutto nella grande capacità di resettarsi dopo ogni gara, mantenendo la loro concentrazione mentale a livelli altissimi. Nelle squadre di medio bassa classifica questo succede molto meno spesso, anzi, l’alternanza fra up e down mentali è molto più frequente.
Per formare questo stato la prima cosa da fare è quella di creare all’interno del gruppo dei valori forti, condivisi da tutti e non negoziabili, attraverso i quali perseguire gli obiettivi. Le basi del mio lavoro sono fondate sul rispetto, passione e divertimento. Senza questi fattori non si può far nulla. Una volta che questi aspetti, che rappresentano le fondamenta, sono stato gettati e consolidati, allora si possono iniziare a costruire i piloni di quello che è l’immaginario palazzo che sarà la squadra: l’etica del lavoro, la positività e tutto il resto.

Approfondiamo il tema della positività. E’ innegabile l’importanza della qualità dell’ambiente, in ogni campo di applicazione. Come si crea un ambiente positivo?
Questo è un aspetto in cui credo moltissimo. Positività chiama positività. L’ambiente positivo va creato, curato, coltivato. Anzi, molto spesso quando si arriva in un gruppo è abbastanza semplice individuare tre tipi di personalità: quelle negative, che nelle risorse umane vengono chiamati “scollaboratori”, quelle positive e una più grande percentuale di personalità “neutre”, le quali sono maggiormente influenzabili da una parte o dall’altra. Il lato da cui penderà la bilancia sarà proporzionale al peso specifico di ognuna di queste personalità, ed è per questo che per un allenatore è fondamentale riconoscerle per poterle riallineare, influenzare o fortificare, a seconda dei casi specifici.
Quanto è importante nel percorso verso il raggiungimento di questo tipo di mentalità ed ambiente, l’implementazione degli obiettivi?
Avere degli obiettivi è fondamentale. L’educazione calcistica che ho ricevuto ai miei tempi da calciatore talvolta quasi mi imponeva a mantenere i piedi per terra dopo una vittoria. Da allenatore invece ti dico che
le vittorie vanno celebrate, il raggiungimento di un obiettivo va riconosciuto, anche se parziale rispetto ad un obiettivo più globale.


Facciamo un passo indietro e torniamo agli ideali piloni del palazzo-squadra rappresentati dai valori delle tue squadre.
Abbiamo detto dell’etica del lavoro, della positività, ma un’altra cosa davvero importante per me è l’avere la capacità di saper controllare solamente ciò che si è realmente in grado di poter controllare, un concetto strettamente connesso alla cultura degli alibi. E’ inutile perdere energie mentali pensando ad arbitri, meteo, avversari. Molto meglio se queste energie vengono risparmiate per controllare la propria performance, la propria concentrazione, i dettagli della partita che dipendono direttamente da noi stessi.
E’ fondamentali essere leali ed avere una coerenza in ciò che si dice e ciò che si fa, tanto nei confronti dei singoli quanto nei confronti del gruppo. Detto così sembra un qualcosa di semplice, ma quando di mezzo c’è il risultato diventa più complicato mantenere una linea d’azione e di pensiero coerente. Tante volte ho visto allenatori predicare un certo tipo di calcio e poi lasciarsi condizionare nei giudizi dal risultato finale di una partita, negativo o positivo che fosse.
Io voglio un ambiente in cui la resilienza sia in grado di scontrarsi anche contro l'ingiustizia.
Quando tu allenatore riesci a raggiungere tutto questo, da un punto di vista tattico puoi chiedere qualunque cosa al tuo gruppo.

In quali modalità si inquadra il tuo rapporto con lo staff?
Per me lo staff è importantissimo. Troppo spesso si da poco valore alle persone che lavorano insieme al mister quando invece assumono una rilevanza notevolissima. Purtroppo so bene che non tutte le società possono permettersi di assumere un intero staff, ma in quei casi è necessario che l’allenatore svolga colloqui con i collaboratori con cui andrà a lavorare perchè avere un’idea comune relativa ai principi generali di gioco e di allenamento è fondamentale. Un mio collaboratore non potrà mai disegnare un’esercitazione efficace se non sente suoi i principi guida all’interno della proposta stessa.

Come ti comporti con i membri del tuo staff nel caso in cui questi non siano uomini da te selezionati?
E’ normale che in questi casi il rapporto di fiducia professionale debba essere costruito col tempo. In una situazione di questo tipo solitamente nelle fasi iniziali richiedo al mio collaboratore di preparare, per ogni obiettivo, tre proposte esercitative da sottopormi. Una volta preparate ed illustrate ne scelgo una da realizzare sul campo. Una volta che il rapporto crescerà si instaurerà anche una conoscenza delle richieste tali per cui al mio collaboratore basterà preparare una sola esercitazione e non più tre.
Nel mio percorso di formazione da allenatore c’è stato un anno in cui ho volutamente scelto di svolgere il ruolo di collaboratore per vedere le cose da un altro punto di vista. E’ stato un anno utilissimo per farmi capire che un secondo va valorizzato e gratificato, facendolo sentire un allenatore a tutti gli effetti. Per me è necessario che ci siano momenti all’interno della seduta in cui le esercitazioni vengano condotte sul campo dal collaboratore stesso.
Penso che ci siano molti modi di esercitare la propria leadership e uno fra questi è quello di fare talvolta un passo indietro, delegando ad altri.
Se il collaboratore è bravo deve poter lavorare. Chiaramente l’allenatore è il responsabile ed in quanto tale deve avere la supervisione di tutti i lavori dei suoi collaboratori, che dovranno essere strettamente connessi ai suoi principi di gioco.
Nella scheda di presentazioni parli di staff multiculturale e multilingue. Quale di queste due caratteristiche ha maggiore importanza per te?
Il fatto che sia multilingue. Sicuramente nella gestione del gruppo è importantissimo avere l’intelligenza, l’attenzione e la sensibilità nel conoscere, capire e rispettare le abitudini quotidiane, alimentari, gli usi e i costumi delle culture dei propri calciatori, ma il fatto di riuscire a comunicare con loro in maniera chiara ed efficace, senza lasciare spazio all’interpretazione, è fondamentale. Avere uno staff multilingue è una grandissima risorsa. Laddove non arrivo io, possono farlo loro.
Per delegare in maniera così importante è necessaria una grande dose di umiltà da parte dell’allenatore capo…
Assolutamente. Molto spesso gli allenatori sono troppo gelosi del loro ruolo o delle proprie idee e convinzioni, non vogliono metterle mai in discussione e soprattutto non intendono condividerle. Lo trovo un atteggiamento superficiale, al giorno d’oggi avere un buon livello di preparazione è molto semplice, su internet si può trovare di tutto, il materiale per aggiornarsi è ovunque.
Dove un allenatore può fare la differenza è a livello umano.
Bisogna conoscere i principi della comunicazione, avere capacità empatiche, essere umili nel voler mettersi in gioco cercando di essere sempre curiosi ed ascoltare tutti. Io amo ascoltare e dialogare con chiunque, il confronto può portare solo a miglioramento e nuove idee.



Passiamo alla filosofia di gioco delle tue squadre. Quella che descrivi è un’idea di gioco assolutamente proattiva, coraggiosa, offensiva. In fase di costruzione del modello di gioco è necessario però che le idee iniziali dell’allenatore prendano atto delle qualità della propria squadra e dei singoli. Qual è secondo te il giusto compromesso di adattamento fra idee iniziali dell’allenatore e modello di gioco finale?
Bellissima domanda. Per alcuni l’allenatore bravo è quello che adatta il modello di gioco sulla base delle caratteristiche dei singoli, altri invece hanno un modello di gioco talmente consolidato che preferiscono fare il processo contrario, cioè provare ad adattare i giocatori ad esso.
Secondo me la verità sta nel mezzo. E’ giusto che un allenatore abbia la sua idea di calcio e che provi ad implementarla nel gruppo tenendo in considerazione le qualità e le abilità dei propri calciatori, senza però fermarsi di fronte alle prime difficoltà evidenziate. Mi è capitato, per esempio, di richiedere ad un mio portiere maggiore partecipazione alla costruzione dal basso nonostante fosse evidente che questa mia richiesta lo ponesse, per sue abitudini pregresse, fuori dalla propria zona di confort. Potevo chiedere di intervenire sul mercato chiedendo un nuovo portiere, modificare il modello di gioco prevedendo una prima costruzione con attacco diretto oppure continuare a lavorare sul suo miglioramento per vedere se il suo limite è sufficiente alle richieste funzionali del mister.
In questi casi un fattore molto importante è rappresentato da ciò di cui parlavamo all’inizio: bisogna essere bravi a livello comunicativo nel convincere i propri giocatori a fare ciò che si vuole perché ritenuto ideale per la squadra, ma ancor prima bisogna essere credibili perché coerenti.
E' difficile credere nel messaggio se non si crede al messaggero.
Come sono strutturate le tue sedute di allenamento?
Il 70% circa del tempo di allenamento è finalizzato al miglioramento dei nostri principi di gioco.
Voglio che le mie squadre abbiano movimenti coordinati, che gli spazi in campo vengano utilizzati in maniera razionale, che si si sviluppino rotazioni fra giocatori… tutti concetti che presuppongono un lavoro costante in micro situazioni che, più ci si avvicina al giorno della partita, più diventano situazioni globali.
Mi piace molto lavorare sulle situazioni di transizione, soprattutto negativa, perché quando si vuole proporre uno stile di gioco offensivo è normale che attaccando si conceda qualcosa in termini di spazio alle proprie spalle e dunque è assolutamente necessario avere un’organizzazione che ti permetta di gestire questo tipo di situazioni nella maniera più efficace possibile.
In questo contesto situazionale di allenamento come approcci al miglioramento del singolo di cui mi hai accennato? Si tratta di un processo che avviene sempre all’interno del globale o viene svolto anche in maniera più individuale e specifica?
Non sempre. Ovviamente dipende da diversi fattori, ma è ovvio che trattandosi di un lavoro personalizzato ed individuale debba anche essere estrapolato dal contesto globale.
Quello del miglioramento individuale è un tema che mi ha sempre appassionato al punto che la tesi del mio corso UEFA A era incentrata proprio su questo. Inizialmente non mi vedevo nemmeno come allenatore, ma come un collaboratore del mister che si occupasse solo del miglioramento tecnico e tattico individuale, creando schede di lavoro per determinati giocatori su determinati momenti del gioco: cross, attacco alla palla, smarcamenti…
Quando individuo un aspetto in cui un singolo deve migliorare affinché possa migliorare anche la resa collettiva cerco di effettuare molte ripetizioni sia nel globale che nell’analitico. Poniamo il mio caso, per esempio. Quando giocavo ero un esterno e supponiamo che dovessi migliorare il cross, uno dei gesti tecnici che mi veniva maggiormente sollecitato. E’ chiaro che se al numero dei cross effettuati nelle esercitazioni di allenamento aggiungo anche il numero di esecuzioni svolte in maniera individuale per cinque-sei volte al mese, la mia crescita potrà raggiungere livelli più alti in tempo minore.
Questo lavoro extra viene svolto dopo le sedute di allenamento?
Dopo o prima, dipende. Viene concordato di comune accordo fra il giocatore e lo staff. Non si tratta di un lavoro lungo o particolarmente faticoso, vengono richiesti 15-20 minuti a seduta. E’ però assolutamente necessario che in quel poco lasso di tempo gli obiettivi e il percorso per raggiungerli siano chiari e condivisi.
In questi casi il supporto del match analyst è per me fondamentale: prima di approcciare con il giocatore vengono preparati dei tagli video individuali per evidenziare un’area di miglioramento o un punto di forza su cui lavorare e dopo averne preso visione procediamo con l’elaborazione del piano di allenamento.

Chi è il modello di Andrea Pisanu come allenatore?
Ho girato molto, ho studiato tantissimi allenatori da vicino, anche a livelli top, ma secondo me ce n’è uno che si distingue e si eleva su tutti: Marcelo Bielsa. Sono stato a Leeds ed amo il modo maniacale in cui vive la sua professione, il modo in cui responsabilizza i suoi collaboratori, l’immensa capacità che ha di valorizzare i giocatori curando ogni minimo dettaglio. Bielsa è “il mas grande”.
Mister, fra ultimi anni da calciatore ed inizio del percorso da allenatore, ormai è dal 2014 che sei a Malta. Quanta voglia c’è in te di tornare a lavorare in Italia?
Andrei in tutti i luoghi in cui potrei esprimere me stesso come allenatore ed avere l’opportunità di avere un continuo miglioramento, il calcio è calcio ovunque. Se un giorno tutto coinciderà, arriverà anche la chiamata dall’Italia – qualche chiamata c’è stata, ma se poi non si è concretizzata significava che non era il momento giusto – altrimenti vorrà dire che il mio percorso sarà un altro, senza rimorsi. Sarà qualunque esso sia.
