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Roberto Breda sta creando una nuova forma di comunicazione

In un ambiente tradizionalmente chiuso e conservativo come quello del calcio, Roberto Breda è davvero una bella eccezione.

E’ vero che tra le molte conseguenze che il lockdown ha comportato, c’è l’aspetto paradossale dell’abbattimento di alcune barriere di comunicazione che prima sembravano insormontabili – webinar online con allenatori professionisti erano all’ordine del giorno – ma mai nessuno si è aperto ai colleghi di ogni categoria con così tanta disponibilità e trasparenza.

“Talvolta nel nostro mondo c’è un pò troppo pressapochismo, si pensa che il mestiere dell’allenatore sia limitato al campo, quando in realtà c’è un mondo dietro.”

Roberto Breda – più di 300 panchine in Serie B con Reggina, Salernitana, Vicenza, Latina, Ternana, Entella, Perugia,  Livorno, Pescara e Ascoli – il suo mondo lo ha aperto a tutti attraverso un sito internet, robertobreda.com, ed il relativo canale Youtube, in cui pubblica quotidianamente contenuti di ogni genere: aspetti pratici relativi alla preparazione di cicli di allenamento o di singole sedute, studi di schemi su palla inattiva, condivisione di esperienze di campo, oltre all’opportunità che il sito offre di organizzare veri e propri laboratori di studio privati in cui poter discutere per ore con il mister di determinati aspetti tattici.

“Qualcuno mi ha fatto notare di riferire molti particolari del mio lavoro ” mi confida “ma per me non è un problema. Il nostro mestiere è talmente ampio nelle sue funzionalità che non mi preoccupo se svelo quello che faccio e come lo faccio, è un progetto che porto avanti molto volentieri. E poi non ho più quell’ansia che avevo all’inizio della mia carriera, quindi sono felice di fare anche qualcosa di diverso oltre ad allenare, che rimane comunque la mia vita e ciò che vorrò fare fino a che avrò la possibilità di farlo.”

Come nasce l’idea di aprire un sito internet personale?

Nasce nel mio anno precedente ad Ascoli, in cui per la prima volta mi sono trovato a non lavorare. Quando non alleni passi ancora più tempo a studiare di quanto non si faccia abitualmente e nel mio caso mi sono trovato con una quantità di materiale di analisi che ritenevo fosse un peccato non condividere. 

Ho iniziato in maniera molto spartana con video autoprodotti e circondato da un velo di “critiche” per il rischio a cui sarei andato incontro esponendomi in questa maniera, ma ho deciso ugualmente di dar vita a questo progetto.

La prova del nove è arrivata nel momento in cui sono stato chiamato ad Ascoli. In quella circostanza ho potuto toccare con mano tutti i benefici che il mio sito aveva portato. Molti tifosi, infatti, prima ancora di conoscermi attraverso le risposte che davo nelle interviste, limitate al tema della domanda,  andarono a vedere chi fossi guardando i contenuti del mio sito e furono molto apprezzati. E’ logico poi che quando alleno questo tipo di attività deve essere necessariamente sospesa.

Terminata l’esperienza ad Ascoli ho avuto l’opportunità di confrontarmi con altri colleghi al riguardo e ho capito che anche agli occhi degli altri non era più vista come una cosa negativa, ma al contrario come una fonte di confronto, consigli ed aiuti. Per questo adesso, oltre ai contenuti fruibili e visibili da chiunque, il sito mette a disposizione anche laboratori di confronto settimanali in cui discutere su temi specifici da approfondire. L’idea è proprio quella di fare un qualcosa che possa essere d’aiuto alle persone, condividendo le mie esperienze e i miei errori, creando una forma di condivisione e discussione.

Partendo dal presupposto che questa condivisione di cui parli è già di per se una forma di auto allenamento, come si allena un allenatore professionista? 

Gli aspetti migliorabili sono due: la nostra proposta è fatta dalle conoscenze tattiche e dalla metodologia che abbiamo nel proporre i concetti che vogliamo trasferire. 

Per quanto riguarda le prime è necessario guardare molte partite. L’occhio dell’allenatore è molto esperto nel cogliere le contrapposizioni e le uscite, e anche se è ormai molto difficile vedere qualcosa di nuovo, osservare quello che gli altri allenatori fanno è un modo che si ha per rinfrescare certe conoscenze. Quando lo faccio, classifico quello che vedo in funzione dei vari sistemi tattici, anche se non mi ritengo assolutamente un integralista in fatto di moduli. Questo anche perchè nella mia carriera mi sono trovato molte volte a dover subentrare. In queste situazioni si ha poco tempo a disposizione e la cosa importante è trovare la formula più adatta a tutti i giocatori che si hanno a disposizione. 

In questo senso ritengo di aver fatto un salto di qualità, quando nel mio percorso da allenatore,  ho dovuto cambiare per esigenze tattiche il sistema di gioco che abitualmente utilizzavo, con la difesa a tre che tante soddisfazioni mi aveva dato a Latina, alla Salernitana e alla Salernitana, e passare ad una linea a quattro. Passai molto tempo a studiare gli allenamenti di Sarri, mio ex compagno di corso a Coverciano.

Credo che difesa a tre e difesa a quattro abbiano principi diversi, che vanno ricercati in settimana attraverso esercitazioni diverse.

Da qui nasce l’esigenza di conoscere molto bene tutti i vari tipi di sistemi di gioco. 

E per quanto riguarda la metodologia?

La metodologia è più complessa da imparare. Per farlo è necessario recarsi di persona ad osservare gli allenamenti di un allenatore e studiarlo da vicino. Farlo attraverso i video disponibili su internet non è sufficiente. Solitamente ciò che viene mostrato in rete sono spezzoni di qualche attivazione, la parte centrale degli allenamenti non viene mai mostrata.

Secondo la mia esperienza nell’implementazione di una metodologia è importante aver sviluppato una serie di esercitazioni, che non devono essere nè troppe nè troppo poche, utili a sviluppare in maniera concreta determinati concetti tattici.

Anche in questo caso certamente andare ad osservare altri allenatori aiuta ad avere nuove idee e a ricevere spunti differenti, ma, ripeto, si tratta di un qualcosa che bisogna fare sul campo, non su internet o sui social. 

Poi possiamo identificare un terzo fondamentale elemento potenziabile. 

Quale?

I concetti noi li abbiamo dentro, ma averli dentro e trasferirli all’esterno non sono la stessa cosa. Bisogna essere in grado di far comprendere alle persone che ti ascoltano le proprie idee e in questo il progetto del sito e dei video sul canale Youtube mi hanno aiutato molto nel trovare una forma di comunicazione più efficace, diretta e consona ad un pubblico vasto. 

Chi allena è abituato a parlare davanti a venti, trenta persone, è la normalità, ma un altro conto è trovarsi davanti a platee più numerose.

Ogni allenatore dovrebbe allenarsi alla comunicazione e studiarne tutti gli aspetti, dai contenuti alla forma di esposizione.

Il modo in cui si parla, il luogo in cui lo si fa, le espressioni, le pause utilizzate sono tutti aspetti della che ogni allenatore dovrebbe avere e saper maneggiare all’interno del suo bagaglio comunicativo. 

Come dice il buon Mourinho “chi sa tutto di calcio non sa niente di calcio”. 

In precedenza hai accennato al tema del subentro. Qual è il primo tipo di analisi che svolgi quando vieni chiamato a stagione in corso?

Si tratta di un’analisi complessa, ma che deve essere per forza di cose particolarmente veloce. 

La prima cosa necessaria da fare è capire il materiale tecnico che si ha a disposizione. Nelle situazioni di subentro generalmente il livello è uniformato verso il basso, ma in questa situazione bisogna comunque essere in grado di capire velocemente le qualità dei giocatori e come poterle esprimere all’interno del contesto squadra. 

La seconda analisi riguarda il tipo di difficoltà che ha avuto il mio predecessore. Se derivano da problemi di natura tattica, comportamentale, psicologica, ambientale…

Per me è molto importante anche studiare la storia della squadra in cui vai. Ti porto l’esempio di quest’anno ad Ascoli: prima di me la squadra aveva giocato prevalentemente con due moduli, il 3-5-2 e il 4-3-3, senza però ottenere, in entrambi i casi, buoni risultati. Tuttavia mi sono reso conto che negli anni passati la squadra, che per otto undicesimi era la stessa dell’anno prima, in precedenza aveva ottenuto ottimi risultati con il 4-3-1-2. Chiaramente la scelta del modulo non è dovuto solo ed esclusivamente a questo fattore, ma si tratta sicuramente di un indicatore di attenzione in più su cui riflettere al momento della scelta.

E’ chiaro che per poter fare questo è necessario avere una conoscenza dei sistemi di gioco molto ampia, e qui torniamo al discorso fatto in precedenza sull’importanza di aggiornarsi sempre a livello tattico.

Quanto è importante ‘partire con il piede giusto’?

E’ fondamentale, perchè si porta entusiasmo, si resetta tutto e le aspettative si avvicinano nuovamente a quello che era il livello di inizio anno. 

Lo studio e la pianificazione strategica della prima gara è molto importante, ma è impossibile lavorare in una sola settimana su tutti i principi della tua squadra e contemporaneamente sul piano gara. 

C’è un aspetto che mi ha incuriosito molto del vostro – tuo e del tuo staff – percorso ad Ascoli. Quando siete arrivati avete subito raccolto 10 punti in 4 partite, frutto di 3 vittorie ed un pareggio. Le vittorie sono state tutte con scarti minimi sull’avversario (1-0). In virtù dell’analisi di questi risultati, quanto è importante, soprattutto in una situazione di subentro, avere l’aspetto mentale inerente al “rimanere in partita”? E quanto è difficile trovarlo in un ambiente demotivato?

E’ un problema che, hai detto bene tu, trovi spesso quando subentri. Tuttavia, anche in questo ambiente caratterizzato da instabilità psicologica è necessario far capire ai ragazzi che è un qualcosa su cui si può lavorare e migliorare.

In situazioni delicate come quelle di un subentro, il rischio di poter andare sotto di uno o due gol lo si può anche mettere in preventivo, ma è proprio da quel momento che l’allenatore deve saper fornire ai propri giocatori le chiavi di lettura corrette di ogni momento. Ci sono situazioni in cui, anche in svantaggio, non è necessario andare all’arrembaggio, ma è più funzionale rimanere in partita attraverso una fase di non possesso molto accorta e attenta, perchè il gol del pareggio o della vittoria potrebbe arrivare anche nei minuti finali.

C’è un esempio concreto che puoi portare su come alleni questo aspetto psicologico?

C’è un video che utilizzo spesso. Si tratta di un video di una partita fra uno dei Barcellona più forti in assoluto, quello di Messi, Suarez e Neymar e l’Atletico Madrid di Simeone. In questo match è l’Atletico a partire molto forte nei minuti iniziali; in seguito la squadra tenderà ad abbassarsi quando il Barcellona aumenta la pressione mentre, nell’ultima parte, sono costretti a difendere ad oltranza per rimanere in partita dopo che sono rimasti addirittura in nove. Quello che voglio mostrare ai miei giocatori sono gli step di interpretazione della partita che fa una squadra mentalizzata.

E’ un processo su cui si può e si deve lavorare fin da subito, soprattutto nelle squadre che arrivano da situazioni instabili.

E’ possibile lavorarci anche a livello pratico sul campo? 

Certamente si. Uno degli aspetti fondamentali quando stai subendo sono le marcature preventive. In queste bisogna avere un’attenzione particolare soprattutto quando si è sotto di un solo gol. Facciamo un esempio: solitamente nelle marcature preventive di una difesa a 4, uno dei due terzini ha un ruolo attivo. Può capitare però che, essendo sotto di un gol, per la foga di voler pareggiare il terzino lontano dalla palla sia più portato ad attaccare a sua volta, piuttosto che a prestare attenzione alle preventive.

Credo che lavorare in settimana per codificare le situazioni di difesa preventiva sia fondamentale e queste a mio avviso devono essere mantenute a prescindere dal risultato e dai minuti sul cronometro perchè spesso i gol del 2-0 o del 3-1 vengono segnati in situazioni di ripartenza quando una squadra esagera nel proporsi in avanti. 

La preventiva va allenata e contestualizzata, e quando in partita noti che c’è qualcosa che non va, bisogna farlo notare immediatamente.

Hai dei principi inderogabili per quanto riguarda l’organizzazione della difesa preventiva o la adatti di volta in volta in seguito alle caratteristiche dei giocatori? 

Ci sono diversi fattori da tenere in considerazione. Il modulo è già di per se un primo indicatore del tipo di preventiva che andrai ad organizzare, perchè come ti dicevo la difesa a tre e quella a quattro hanno principi differenti. 

Secondariamente, bisogna tenere in considerazione il fatto che il più delle volte quando si subentra la squadra non è forte mentalmente, per cui accettare in una situazione di preventiva l’uno contro uno diventa sconsigliabile. Per proporla bisogna essere certi di avere una situazione in cui il difensore si senta in totale autostima. 

Personalmente io preferisco sempre avere un uomo in più che possa garantire copertura all’ultima linea affinchè i giocatori predisposti alla marcatura possano essere più aggressivi e coraggiosi nell’anticipo e nel duello in generale, senza doversi preoccupare di dover coprire anche la profondità alle sue spalle. Dopodichè non è necessario che l’uomo in più rimanga legato alla linea anche in fase di costruzione, perdendo un uomo durante la manovra. Si può benissimo staccarlo e farlo avanzare per poter palleggiare con un uomo in più in avanti. 

In generale comunque è un argomento, quello delle preventive, che affronto in maniera molto aperta, cercando di capire prima di tutto le caratteristiche dei miei giocatori pur rimanendo fedele ai miei principi.

A proposito di principi difensivi, accennavi alle differenze fra la difesa a tre e quella a quattro. Quali possiamo identificare?

I riferimenti. Nella difesa a tre il riferimento è soprattutto l’uomo, in quella a quattro c’è la palla, c’è il compagno e l’uomo. Sono letture completamente diverse che vanno allenate in maniera differente. Sul mio sito ho fatto un bel laboratorio di due ore e mezza sulla difesa a tre, su come dare forza alla ricerca dell’uomo e come allenarla. 

Dopo aver portato stabilità all’ambiente diventa poi fondamentale “creare entusiasmo”.

Il miglioramento porta entusiasmo.

E’ chiaro che il risultato aiuta molto in quanto si tratta di un grande rafforzativo dell’entusiasmo, ma al di là di questo, quando il giocatore nota che i concetti che l’allenatore propone hanno un riscontro positivo sul campo e che c’è margine per migliorare ancora, l’entusiasmo viene naturale. In alcuni casi addirittura si crea un eccesso di entusiasmo che rischia di togliere l’attenzione da parte dell’allenatore sul particolare. 

Nel processo al miglioramento utilizzo molto il supporto video, soprattutto quando devo proporre qualcosa di nuovo che altre squadre fanno già con successo. Si tratti di messaggi ai giocatori che danno forza alla proposta e all’allenamento. 

Mi sembra di capire che il supporto video sia molto utilizzato nel vostro modo di lavorare. 

Il supporto del video è uno strumento importantissimo. Filmare gli allenamenti ti permette di avere un controllo successivo sulla qualità del lavoro svolto, sull’interpretazione dei singoli o su modifiche che riguardano il collettivo o i singoli. 

Ritengo che sia importantissimo anche a livello individuale: immagina chi non gioca mai e che non può farsi vedere alla domenica. Mostrargli che lo segui durante gli allenamenti è un messaggio forte di attenzione e miglioramento nei suoi confronti, che gli da la consapevolezza di poter fare un percorso anche non giocando.

In che modo e con quali tempistiche all’interno della settimana vengono organizzate le sedute video individuali?

Solitamente io ed il mio staff di lavoro svolgiamo riunioni video che possono essere collettive, di reparto o individuali. Le uniche ad essere codificate all’interno della settimana sono quelle collettive, mentre le altre seguono quello che è il percorso di miglioramento che si è individuato per ciascuno, cercando di strutturare una situazione che sia il più possibile funzionale ed efficiente. Molti ragazzi con me che sono l’allenatore in prima hanno difficoltà ad aprirsi al 100%. In quei casi ritengo sia giusto che sia il mio secondo, Vincenzo Melidona, ad occuparsene, creando con loro un percorso quotidiano.

 Ci sono altri casi, che riguardano soprattutto i calciatori sudamericani, in cui, per loro cultura, il messaggio arriva più forte e chiaro se sono direttamente io a trasmetterglielo. 

Sono tutti aspetti che l’allenatore deve essere in grado di modulare in funzione della situazione del momento, del tipo di ragazzo che va aiutato e del modo in cui lo vuoi aiutare. 

Fare una seduta video individuale prima o dopo l'allenamento non è la stessa cosa.

Quando fai una seduta video prima dell’allenamento stai cercando di far si che ci sia subito una corrispondenza fra quello che stai mostrando e ciò che andrai a fare di lì a poco in campo, quando la fai dopo l’allenamento stai creando i presupposti di una discussione più rilassata o basata sul far cambiare un’idea. Sono aspetti sui quali bisogna avere apertura e attenzione alle sfumature, che talvolta sono importantissime.

Ti è mai capitato che il video sia diventato uno strumento anche per una tuo auto analisi?

Certamente, il feedback che ci da il video in relazione alla nostra proposta di staff è fondamentale. A volte delle esercitazioni che abbiano in testa, in campo non riescono come vorremmo o come ce le eravamo immaginate. In quel caso è necessario che l’allenatore cerchi di capire cosa c’è di sbagliato nella proposta e intervenire. 

Il video da una grande possibilità di capire se le dimensioni dell’esercizio erano corrette, se le regole erano funzionali, se la struttura in generale porta agli obiettivi per i quali l’hai pensata.

Entriamo nel tema della costruzione della seduta di allenamento. Prima abbiamo parlato del grande spirito di adattamento che un allenatore deve avere in funzione del luogo in cui va a lavorare. In questo contesto, hai comunque dei principi che per te sono imprescindibili?

L'allenamento è il mezzo che l'allenatore ha a disposizione per trasferire le proprie idee.

Le idee non si trasferiscono solamente per mezzo della parola o delle riunioni, ma con il lavoro quotidiano sul campo, automatizzando certi meccanismi, movimenti o interpretazioni dei giocatori. Io sono convinto che l’allenamento è la parte più importante.

Fra il dire e il fare c'è di mezzo l'allenamento.

Per questo i principi cardine dell’allenamento sono rivolti al feedback che da allenatore ricevo al termine dell’allenamento. Quando propongo una cosa devo essere crudo ed obiettivo nell’analizzare se quello che propongo ha un riscontro pratico in campo.

Per me è fondamentale creare esercitazioni che rispecchino il più possibile l’ambiente di gara. Tante volte invece mi capita di osservare lavori in campo che si allontanano troppo dalla realtà del gioco: quadrati dentro ad altri quadrati, cinque colori di pettorine, sei porticine… Non dico che siano mezzi sbagliati in senso assoluto, ma il calcio ha a che fare con il calciare in una porta, non dentro una porticina. Anzi, se andiamo a vedere il tiro è uno dei gesti tecnici meno allenati. Il nostro compito.

Replicare la realtà del gioco per me è importantissimo e attenzione, questo non vuol dire non avere fantasia. Noi facciamo molte partite a settori orizzontali o verticali, piuttosto che i giochi di posizione, anche se questi presentano pro e contro.

Quali sono i pro e i contro che identifichi nei giochi di posizione?

Hanno sicuramente dei benefici, che sono quelli di creare relazioni fra giocatori e far “vivere” ai giocatori la zona di campo che andranno ad occupare la domenica, ma non hanno una direzionalità per esempio, e nella mancanza di direzionalità perdi il senso del gioco che è quello di andare in avanti per fare gol. Si domina un principio che è quello del possesso palla, ma a scapito di un altro principio che è quello della verticalità. 

In uno dei video pubblicati sul tuo sito hai descritto in maniera molto dettagliata anche la creazione della tua settimana tipo.

Per me il microciclo è il vero strumento, perchè per analizzare l’allenamento è necessario farlo all’interno di un contesto di minimo sette giorni. Per il mio modo di vedere, per chi fa settore giovanile o nei dilettanti, diventa invece fondamentale il mesociclo, e questo solo per la differenza di numeri di allenamento settimanali.

La nostra proposta deve essere in funzione della partita precedente, ma anche dei miglioramenti dei macro principi, se questi concetti mancano diventa difficile crescere nel tempo. 

La mia proposta settimanale cerca di tenere in considerazione tutto ciò che deve essere al suo interno, sia per gli obiettivi a breve termine che per quelli a medio-lungo termine, sia di squadra che personali. Anche gli obiettivi personali sono aspetti che nel medio-lungo termine devono essere coltivati. Bisogna avere la forza, l’attenzione e l’organizzazione di inserire gli obiettivi personali, senza focalizzare l’attenzione solo ed esclusivamente sul discorso partita.

Per obiettivi personali intendi dei tuoi calciatori?

Si, di tutti i calciatori, soprattutto di quelli che non giocano, che sono quelli che è più facile perdere per strada. 

Farlo non è semplice, perchè è un discorso di rapporto. Io e i membri del mio staff cerchiamo di dialogare molto con i calciatori meno impiegati, cercando di fargli capire che c’è un reale interesse al loro miglioramento, ma se poi questi continuano a non giocare si fatica di più ad essere credibili. E’ necessario però trovare i mezzi per farlo, facendo venire il giocatore ad allenamento prima per una seduta video per esempio, o fermandosi dopo. Quando un giocatore non gioca solitamente il livello di autostima non è alto, e dunque bisogna fare molta attenzione nel proporre qualcosa, ma tutti devono migliorare e noi dobbiamo dare ai nostri calciatori tutti gli strumenti per farlo. 

Questo è un tema che trovo molto interessante, soprattutto per la sensibilità necessaria dell’allenatore nel capire ciò che il giocatore vuole. Come si porta avanti quest’opera di investigazione?

Non si tratta di fare ciò che il giocatore vuole, ma ciò di cui ha bisogno. E’ differente. Ogni situazione è molto differente, ma gli aspetti importanti sono principalmente due: il primo è un fattore prettamente personale. Io in quanto allenatore mi sento di incidere nella vita dei miei ragazzi, le mie scelte li portano ad avere successo o meno. Nel momento in cui non faccio giocare un calciatore, per esempio, io so che sto determinando un qualcosa di negativo nella sua vita, e questo è un grande rammarico che ho, ma sul quale non posso fare niente perchè ne possono giocare solamente undici più i cambi. Quello che però faccio sempre, con tutti, indistintamente, è mettere a loro completa disposizione per provare a farli migliorare. 

Il secondo aspetto ha a che fare con il dialogo e l’osservazione. Talvolta capita che sia il giocatore stesso a chiederti di migliorare un determinato aspetto, ma il più delle volte capita che si debbano migliorare aspetti, soprattutto di tattica individuale, di cui il giocatore non ha coscienza. Siamo noi allenatori, in quel caso, a dovergli fare il vestito su misura.

In generale bisogna lavorare molto sulla quotidianità. Io ho sempre una mia checklist personale di tutti gli interventi individuali che è necessario che io faccia, ma è fondamentale che anche i miei collaboratori abbiano la massima attenzione su questi aspetti.

La disparità di minutaggio, naturale nei giochi di squadra ad alto livello, può portare a dei conflitti. Partendo dal presupposto che ogni caso è diverso, ma qual è il tuo punto di vista riguardo alla gestione dei conflitti?

In generale i conflitti è sempre meglio affrontarli, sia quelli che emergono in maniera naturale, sia quelli “sommersi” ma comunque tangibili. L’ideale sarebbe quello di affrontarli insieme al gruppo. L’analisi di un conflitto davanti alla squadra è una dimostrazione di forza e diventa secondo me più semplice superare un problema, ma ci sono situazioni in cui non è possibile o preferibile farlo, talvolta anche per scelta.

Nella gestione perfetta i conflitti vanno affrontati e sviluppati in maniera serena, cercando di comprendere le verità di entrambe le parti.