TEMPO DI LETTURA 5 MIN.

Come si allena una selezione giovanile italiana

Quella di Patrizia Panico non è una carriera “convenzionale”. Non lo è stata quella da calciatrice, dove è stata capace di vincere 14 volte il titolo di capocannoniere della nostra Serie A raccogliendo il testimone di emblema del movimento femminile da Carolina Morace, e non lo è quella da poco intrapresa da calciatrice, dove rappresenta un caso più unico che raro di allenatore donna nel “settore maschile”.

Dopo un periodo di apprendistato alla corte di mister Zoratti nella selezione italiana U16, ha poi intrapreso i propri primi passi con la nazionale U15, periodo alla quale risale questa intervista, prima entrare poi nell’organigramma della nostra U21 che ha partecipato alla fase finale del campionato europeo qualche mese fa come vice di Paolo Nicolato. 

Con lei abbiamo provato a capire di più circa la metodologia utilizzata dal Club Italia nelle selezioni giovanili.

Maurizio Viscidi ha più volte evidenziato le differenze che ci sono fra i nostri giovani e quelli di altri Paesi a livello di selezioni nazionali. Percepisci anche tu queste diversità e in cosa consistono?

Si, esistono differenze e sono di natura diversa.

La prima, forse più evidente, è una diversità dal punti di vista fisico e coordinativo. Vedo in nazionali, soprattutto in quelle di un ranking elevato come Francia, Inghilterra o Olanda, uno sviluppo maggiore in questo senso che evidenzia una sostanziale differenza. Da un punto di vista tattico invece credo che i nostri ragazzi siano più pronti, più maturi, rispetto agli altri riescono a intendere e mettere in pratica meglio il concetto di reparto o di linea di copertura, per esempio. Anche dal punto di vista mentale si notano differenze, le altre nazionali giocano in maniera più spensierata, hanno meno pressioni e avere la mente libera li porta a scendere in campo con meno paura di sbagliare ed essere più “sfacciati” nelle situazioni importanti o negli 1 contro 1, per esempio.

Il calciatore però non nasce con la paura di sbagliare.

Assolutamente. Se metti un bambino per strada a giocare ti rendi subito conto di come con la palla proverà a fare qualsiasi cosa, ma se quello stesso bambino lo metti in campo noterai subito di come inizierà a giocare con maggiore timore. E su questo noi allenatori dobbiamo interrogarci, perché spesso siamo noi facciamo nascere e crescere in loro certi tipi di paure.

Spesso viene evidenziata anche una differenza di intensità fra le squadre italiane e quelle di altri Paesi.  Quando si parla di questo tema poi si pensa sempre all’aspetto fisico, riferendosi ad una intensità di corsa, senza tenere in considerazione l’aspetto mentale.

Vero, ma l’intensità la hai anche se sono presenti altri aspetti, come quello tecnico per esempio: senza una buona velocità e qualità di trasmissione e ricezione, per esempio, non potrai mai avere intensità. In un certo senso anche il carattere dei giocatori contribuisce ad accrescere l’intensità.

Quindi si tratta di un concetto totalmente allenabile, fin da bambini…

Assolutamente si.

In nazionale come lavorate su questo aspetto cercando di colmare il gap che viene evidenziato con le selezioni di altri Paesi?

E’ un concetto che si può allenare in molto maniere, proporre esercitazioni con spazi ridotti è un buon modo per aumentare il livello di intensità per esempio.

Bisogna fare molta attenzione però a non confondere il concetto di intensità con il concetto di frenesia, perché il confine è molto sottile, e non è semplice quando si allena nelle categorie più basse far capire ai bambini la differenza.

Io credo che sia necessario anche da parte dell’allenatore far capire ai propri giocatori come e quando modulare questa intensità, attraverso la propria comunicazione e il proprio tono di voce: se durante la spiegazione e l’esecuzione di un’esercitazione utilizzerò un tono di voce calmo e pacato otterrò risultati differenti da quelli che avrei se utilizzassi, per la stessa proposta, una comunicazione più “forte”, con spiegazioni veloci e un tono più incisivo. Si tratta di un mezzo banale ma chiaro per far comprendere a tutti quando è il momento di cambiare marcia.

Secondo te è possibile individuare momenti precisi all’interno della seduta in cui bisogna avere alta o bassa intensità?

No, per me non ci sono momenti prestabiliti in cui bisogna avere l’una piuttosto che l’altra, anche perché durante la partita può capitare che tu abbia bisogno di intensità elevate subito piuttosto che nei minuti finali, quindi è importante che il giocatore sia abituato a dover gestire le energie che una alta intensità richiede in ogni momento della partita.

Come strutturate le sedute di allenamento in nazionale?

In ciascuna selezione troviamo gli stessi principi, che sono quelli dettati dal coordinatore delle nazionali Maurizio Viscidi, poi è chiaro che ogni allenatore ci mette qualcosa di suo, attraverso la propria metodologia e le proprie idee.

Per quanto riguarda noi dell’ U15 ci raduniamo sempre alla domenica sera, al lunedì facciamo una doppia seduta, al mattino un po’ più blanda, con bassa intensità per via del fatto che i ragazzi hanno giocato il giorno precedente, mentre al pomeriggio alziamo un po’ di più i ritmi ed entrambi gli allenamenti sono finalizzati solo ed esclusivamente alla preparazione della partita che poi giocheremo al martedì. Questo perché ogni volta, come avviene anche per la nazionale maggiore, facciamo doppie gare, una al martedì e l’altra il giovedì. Al mercoledì invece facciamo nuovamente doppio allenamento, con al mattino intensità minore finalizzate al recupero fisico dei giocatori, mentre il pomeriggio viene eseguito lavoro di preparazione per la partita del giorno successivo.

Tieni conto che quando ti parlo di intensità, stiamo sempre parlando di selezioni nazionali, pertanto il concetto di bassa intensità è sempre rapportato ad un gruppo di ragazzi che, sia per doti tecniche, che fisiche, ma soprattutto mentali, perché tutti vogliono mettersi in mostra creando un livello competitivo molto elevato, non è paragonabile ad una squadra di pari età dilettanti.

Come si prepara una partita con così poco tempo a disposizione? Immagino che lavorare su tutte le fasi del gioco sia materialmente impossibile.

Il concetto alla base di ogni nostra seduta è “poche cose ma chiare”.

Non seguo una tabella fissa quando devo preparare una incontro, dipende sempre da molte situazioni. La priorità, durante i nostri allenamenti, è sempre quella di implementare i principi di gioco alla base di tutte le selezioni giovanili italiane. Solo dopo guardo come giocano i nostri avversari e a partire da questo cerco sempre di dare un’infarinatura ai calciatori su come dobbiamo affrontare determinate situazioni di gioco, preparandoli anche alle possibili variabili.

Se per esempio devo preparare una partita contro una squadra che so che gioca con il 4-4-2 proporrò inizialmente lavori sulla costruzione dal portiere con opposizione di 2 attaccanti per poi passare a 3 nel caso in cui cambiassero la loro strategia. Lavoriamo per dare ai ragazzi un indirizzo rispetto a quello che troveranno poi in partita ma dobbiamo farci trovare pronti anche nel caso in cui dovessimo trovare qualcosa che non avevamo previsto.

Da un punto di vista tecnico, posto che in nazionale vengono selezionati giocatori sopra alla media, come lavorate?

Quando si parla di tecnica secondo me bisogna fare una distinzione importante, perché il discorso è differente se parliamo di tecnica semplice o tecnica complessa.

Nel caso di tecnica semplice, come una trasmissione di interno piede, si può benissimo lavorare in situazione. La tecnica complessa, quella cioè che presuppone un grado più elevato di difficoltà, come il tiro in porta al volo o il colpo di testa, necessita invece di un allenamento analitico perché diventi efficace, in quanto in situazione viene a mancare la cosa fondamentale per il miglioramento del gesto tecnico che è la ripetibilità. In nazionale però la quantità di lavoro analitico è praticamente nulla proprio per il motivo a cui hai accennato tu nella tua domanda: si tratta di un discorso di qualità di giocatori selezionati.

Il tuo metodo di lavoro varia annualmente in base ai gruppi selezionati o è sempre lo stesso?

No, varia assolutamente. Ogni gruppo che selezioniamo ha sempre equilibri e dinamiche differenti e il nostro compito è riuscire ad individuarle e lavorarci sopra. Negli anni passati mi è capitato, per esempio, di avere un gruppo di lavoro in cui erano emerse difficoltà nelle uscite durante la prima costruzione, per cui abbiamo insistito tantissimo sugli aspetti individuali, come le posture dei giocatori, che erano spesso chiuse, e su quelli collettivi, proponendo esercizi situazionali in maniera semplificata, con superiorità numerica prima di +2, poi di +1 ed infine in parità. Quest’anno invece non abbiamo assolutamente questo tipo di problema, ma ho dovuto insistere maggiormente sugli sviluppi in zona 2, nella fase di preparazione alla finalizzazione.

Gli spunti su cui lavorare vengono sempre dai giocatori quindi…

Certamente. Già in fase di selezione, quando andiamo a vedere le partite, riesci a immaginare su cosa dovrai concentrarti maggiormente durante gli allenamenti.

Cosa, secondo te, non dovrebbe mai mancare in un allenamento di una squadra U15?

Senza dubbio i duelli, le situazioni di 1 contro 1, 2 contro 1, 2 contro 2. Ti dirò di più, questi secondo me non dovrebbe mai mancare in ogni categoria fino all’ U17, iniziando dai bambini dell’attività di base. Affrontare un avversario in situazione di 1 contro 1 deve essere una opzione per qualsiasi giocatore, e in questo momento storico questa scelta viene poco stimolata perché temiamo troppo l’errore.

Noi allenatori dobbiamo sollecitare il duello, e nel momento in cui c'è la scelta del dribbling l'errore sarà solo la misura che fornisce al ragazzo la consapevolezza del fatto che sia stata la soluzione corretta o no.

Non c’è nemmeno bisogno che sia l’istruttore a sottolineare il farlo, il Gioco è il primo istruttore. Troppe volte diamo al ragazzo più indicazioni del tipo “non scartare”, “gioca dove vedi”, “passala di prima”, senza renderci conto che quello che stiamo facendo è solo infondergli insicurezze.

In Nazionale come riuscite a gestire questi concetti con la ricerca del risultato?

E’ fondamentale che i ragazzi conoscano il valore della vittoria e che facciano di tutto per raggiungerla. Questo percorso di comprensione spetta al ruolo dell’allenatore, è necessario di fargli comprendere quale è il percorso necessario da intraprendere per ottenerla. La vittoria passa attraverso l’allenamento, il gioco, i comportamenti… Bisogna lavorare ogni giorno per arrivarci, la devono volere e se poi non dovesse arrivare, non fa niente.

Il percorso è molto più importante del risultato…

Senza dubbio, come ti dicevo l’importante è dimostrare di volere la vittoria. Il problema si ha quando si ha un gruppo apatico, in cui non esiste distinzione fra il vincere o il perdere.  In quel caso è necessario intervenire, bisogna allenarli anche a questo, creando esercitazioni a punteggio che stimolino la competizione.

Quale è il criterio di selezione per la costruzione di una selezione nazionale giovanile?

In questo senso abbiamo una importante rete scouting che ci aiuta molto nella visione dei ragazzi, poi la selezione dipende sempre dal tipo di allenatore che sei e dalle priorità che hai. Io personalmente cerco sempre di selezionare i giocatori migliori da un punto di vista tecnico per poi trovare il sistema di gioco ideale alle loro caratteristiche.

Chiudiamo come abbiamo iniziato, e cioè con una citazione del coordinatore Viscidi che in alcune sue interviste ha presentato il TIPSS come modello di valutazione dei giocatori convocabili. Di che cosa si tratta e come viene utilizzato?

L’utilizzo del TIPSS deriva dalla necessità di avere criteri di valutazione dei giocatori sempre più oggettivi, cercando di limitare gli errori di interpretazione di natura soggettiva sulle relazioni stilate dagli scout sui calciatori convocabili. Il Club Italia in questo senso ha preso spunto da altre realtà che utilizzavano questa formula già da tempo. L’acronimo TIPSS sta per Tecnica, Intuito, Personalità, Velocità (Speed, in inglese) e Struttura Fisica. Ad ognuna di queste voci, in sede di valutazione, diamo un valore da 1 a 10. Contestualmente, ad ogni calciatore viene associato un colore fra il rosso, il giallo, il celeste e l’azzurro. Nel primo caso si ritiene che si tratti di un elemento di nessun interesse per la nazionale, nel secondo che possa avere delle potenzialità ancora non espresse, con il celeste individuiamo invece coloro che sono ritenuti quasi pronti per vestire la maglia della nazionale. Gli azzurri sono tutti quelli ritenuti convocabili.