Dopo più di 300 partite fra i professionisti condite da 40 partite continentali, fra Champions League, Europa League e CONCACAF Champions League, non sono molti gli ex calciatori che hanno deciso di mettersi in discussione nel ruolo di allenatore partendo dal settore giovanile e farlo, per lo più, nel ruolo di collaboratore.
"Ho preferito iniziare il mio percorso da allenatore nel settore giovanile per avere la possibilità di poter studiare il ruolo e sperimentare."
“Con questo ovviamente non intendo dire di aver utilizzato i ragazzi come cavie, anche perché il lavoro svolto con loro era per lo più finalizzato allo sviluppo delle qualità individuali, ma ho avuto modo di poter creare un personale archivio di allenamenti ed esercitazioni diviso in 6 categorie, e molte di questi sono totalmente inventati e, in alcuni casi, ancora incomplete. Nel mio primo anno da allenatore ho voluto non farmi condizionare da nessun altro allenatore, cercando di elaborare e fortificare le mie idee mentre ora mi trovo nella situazione opposta, in cui cerco di cogliere e rubare qualcosa da ogni allenatore che ho modo di osservare.”
In questa piacevole chiacchierata che mister Donadel ci ha concesso, che risale alla stagione sportiva 2019/2020, quando era alla guida della Fiorentina U17, abbiamo parlato di metodologia, di proposte di allenamento e di come la sua idea di calcio sia nata e si sia evoluta. Nel frattempo, da quando questa conversazione è avvenuta ad oggi, il mister ha accumulato altre esperienze: è stato collaboratore nella Fiorentina 2020/21 di Prandelli e Iachini e ha girato il mondo per aggiornarsi, alla ricerca di nuovi spunti per sviluppare ancora la sua idea di calcio.
Che difficoltà incontra un giocatore professionista con più di 300 presenze una volta che diventa allenatore?
La prima cosa che ho fatto una volta che ho deciso di intraprendere la carriera di allenatore è stata fare un’esame introspettivo di come volevo vivere il mio modo di essere allenatore: volevo essere, come accade ad alcuni giocatori, un allenatore che viveva la settimana in maniera piuttosto distaccata e poi farmi valutare per i soli risultati della domenica, oppure essere un allenatore con una particolare cura ed organizzazione di ogni seduta?
Per me la scelta è stata semplice, e per arrivare al livello qualitativo desiderato ho iniziato mettendomi in gioco nel ruolo di collaboratore di tutte le leva nazionali, dalla Primavera alla U16. E’ stato un percorso formativo fondamentale per avere una visione generale di tutte le caratteristiche relative ad ogni fascia d’età del settore giovanile e le modalità per me migliori per organizzare una seduta di allenamento.
Ti faccio un esempio pratico. Alla Fiorentina c’era uno spartito utilizzabile da chiunque sui calci piazzati, con un determinato numeri di schemi per ogni tipologia di palla da fermo. Sicuramente utile, sappiamo tutti che sono occasioni che producono un numero di gol significativo, ma nell’ambito del calcio di formazione riducono l’intensità dell’allenamento, allontanando dai reali obiettivi. Penso sia fondamentale avere una progressione didattica negli anni anche in questi aspetti e questo periodo di osservazione l’ho utilizzato per creare la mia personale progressione. Non è la più giusta, né la più sbagliata, è semplicemente la mia.
Penso che la risposta alla tua domanda sia dunque questa.
Quando diventi allenatore sei il responsabile del lavoro quotidiano della squadra. Se vuoi fare le cose bene è necessario che l'allenamento sia organizzato. E affinché l'allenamento sia organizzato è necessario che tu conosca esattamente tutto di ciò che stai facendo.
Parlo di aspetti tecnici, tattici, coordinativi, di forza… tutto.
Come sono strutturati i tuoi allenamenti?
Trattando di calcio giovanile ovviamente non posso non tenere in considerazione anche la loro vita extra calcistica. Molti di loro arrivano al campo in orario diversi, per via della scuola o dei mezzi di trasporti e la prima cosa che ho fatto è stata quella di organizzare in maniera individuale l’attività di pre-allenamento.
Una volta che io e il mio staff siamo a conoscenza dell’orario scolastico definitivo di ognuno e del loro arrivo al campo – che solitamente varia da ragazzo a ragazzo dalle 14.20 alle 15.15, proprio all’ultimo minuto – prepariamo schede personali per ogni atleta con l’organizzazione dell’attività di pre-allenamento: tecnica analitica, giochi per la tecnica applicata, lavori di prevenzione o core stability…
L’allenamento, invece, dura dalle 15.15 alle 17.30 circa, e i primi 45 minuti sono dedicati solo ed esclusivamente a lavori di tipo individuale. Qualunque sia il tema del giorno – duello, passaggio, piuttosto che un determinato sviluppo di gioco – il mio focus e quello del mio staff è al 100% sulla qualità della tecnica individuale in relazione all’obiettivo della seduta.
Per esempio, se il tema è lo sviluppo offensivo in zona di fascia, ci concentreremo sugli aspetti della ricezione e del cross. L’intensità di questa prima fase è solitamente medio-bassa per consentire la massima concentrazione nella qualità dell’esecuzione, piuttosto che nel numero di ripetizioni.
I restanti 90′ costituiscono invece il cuore della seduta e vengono solitamente divisi in due fasi: la prima in cui lavoriamo insieme o a gruppi, a seconda del giorno della settimana, sui nostri principi di gioco, piuttosto che su qualche aspetto specifico in cui si sono evidenziate lacune nella partita precedente, e la seconda che invece è dedicata alla partita, solitamente mai meno di 30′-40′.
Quale è il modello di gioco di mister Donadel? E soprattutto, ha senso secondo te parlare di “modello di gioco” come un qualcosa di statico o invece dobbiamo uscire da questa concezione che si tratta di qualcosa di immutabile e dobbiamo iniziare ad intenderlo come un qualcosa di dinamico?
Penso che si tratta di qualcosa che cambia di continuo, ogni allenatore che ha voglia di migliorarsi ed aggiornarsi troverà sempre nuove idee da trasferire in campo. E’ chiaro poi che esistono idee e principi inderogabili.
A me piace che le mie squadre siano in controllo del ritmo della partita in tutte e due le fasi del gioco. Voglio che siano in grado di capire quando è il caso di concedere 5-6 passaggi ai rivali e quando invece devono portare una pressione forte per la riconquista immediata.
All’interno del progetto formativo di cui parlavamo prima poi ho cercato poi di introdurre alcuni principi individuali che reputo importanti per la crescita dei singoli. Ti faccio un esempio: nelle situazioni di palla libera i miei giocatori sanno che devono rischiare la giocata. E’ quasi un obbligo che gli impongo. Che sia un filtrante, un cambio gioco, un tiro da 30 metri, loro devono provarci, dobbiamo giocare. Ogni minuto della partita rappresenta per noi un’occasione per migliorare e dobbiamo sfruttarla sempre al massimo.
In questo contesto che importanza dai al sistema di gioco?
Se parliamo di sistema di gioco intesa come occupazione degli spazi statica, poca, molto poca.
Quante volte, osservando le partite, possiamo fotografare la posizione in campo dei giocatori come la disegniamo sulla lavagnetta prima? Io non mi sento di avere un sistema di gioco preferito, potrei dirti che mi piace giocare con una linea difensiva a 4 e tre trequartisti stretti perché questa disposizione penso si adatti bene alla mia idea di pressione fortissima sull’avversario, ma principi ed idee contano infinitamente di più.
Rispetto a questo mi è capitato, qui a Firenze, di avere conversazioni molto stimolanti con alcuni ragazzi analizzando alcune situazioni di gioco in fase di non possesso. Quello di cui mi accorgo è che molti di loro sono ancora troppo fossilizzati sulla concezione di “ruolo” e relativo spazio da occupare in campo, intendendolo come un qualcosa di confinato, entro cui muoversi senza invadere gli spazi confinanti perché reputati di competenza di altri compagni e questa pensiero ci è costato doversi gol ad inizio anno, periodo in cui abbiamo preso anche diverse “imbarcate”. Questo problema però non lo abbiamo risolto lavorando tatticamente, con le scalate difensive o altro, ma semplicemente inculcando in loro il principio secondo cui in fase di non possesso non dobbiamo concedere mai una palla libera. Ecco che quindi spettava a qualsiasi giocatore, indipendentemente dalla posizione in campo, difendere sulla palla per non concedere situazioni di palla scoperta.
Poi gli errori ci sono e ci saranno sempre, qualche palla libera la concediamo e la concederemo anche in futuro, ed è per quello che lavoriamo molto sugli aspetti individuali, il duello – in anticipo o in marcamento – il colpo di testa e tutte le gestualità utili per situazioni di questo tipo.
Quanto ha influenzato la tua esperienza da calciatore in MLS la tua attuale visione da allenatore? Questa tua visione della gestione della fase di non possesso mi ricorda molto quella tipica del RB Salisburgo, per esempio.
Molto, in particolare ho preso molto dal metodo RedBull. Quando giocavo a Montreal al RedBull New York allenava Jesse Marsch (divenuto in seguito allenatore di RB Salisburgo e RB Lipsia, n.d.r.) ed è un allenatore con cui sono rimasto in contatto e del quale avrei dovuto vedere qualche allenamento prima che le restrizioni per il Covid mi impedissero di andarlo a visitare.
Quanto invece sei attento all’aspetto psicologico? Leggendo alcune tue dichiarazioni ho letto di come, a differenza di quanto accaduto in Italia, all’estero hai trovato maggiore apertura alle opinioni dei calciatori. Hai riportato questo aspetto nella gestione del tuo gruppo squadra?
Quello dell’aspetto psicologico è un altro di quei campi che ogni neo allenatore deve studiare ed approfondire, al pari di quelli tecnici, tattici, coordinativi…
Nel momento in cui mi è stata affidata la panchina della U16 (alla Fiorentina, ndr) mi è però stato chiara fin da subito quella che sarebbe stata la mia gestione del gruppo: avrei trattato i ragazzi come degli adulti. E questo perché nel giro di uno-due anni avrebbero rappresentato la Primavera della Fiorentina, squadra e campionato in cui non vieni più trattato come un ragazzino. Ho ritenuto quindi giusto e formativo utilizzare questa linea gestionale.
Per quanto riguarda invece le differenze con l’estero si, ti confermo che in Canada ho avuto molta libertà di espressione dovuta anche alla loro poca conoscenza su alcuni temi, quello tattico soprattutto. In Italia c’è più competizione, il livello è più alto ed è più difficile trovare apertura al confronto.
Da allenatori, con i ragazzi soprattutto, cerco di essere sempre aperto al dialogo e soprattutto umile. Mi è capitato diverse volte, specialmente durante la gestione della partita, fra un tempo e l'altro, di chiedere loro un aiuto dandomi la loro analisi di quanto appena accaduto e molte volte uscivano cose interessanti, alcune che magari non avevo nemmeno visto.
Per arrivare a ciò è necessario però che i ragazzi abbiano raggiunto una maturità tale per cui siano coinvolti nel gioco al 100% anche sotto il punto di vista cognitivo.
Io punto tantissimo su questo aspetto. Anche perché più ci si avvicina al calcio degli adulti e più la differenza di qualità tecniche, solitamente, si assottiglia. La vera differenza la fanno la lettura del momento e delle situazioni, i particolari e noi questo lo alleniamo anche in settimana.
Svolgiamo spesso una partita “segreta” che è una partita a tema in cui ogni squadra ha un obiettivo da raggiungere, segreto appunto, ma oltre a raggiungerlo dovrà anche indovinare quello della squadra avversaria.
Molto interessante, come funziona più nello specifico questo genere di partita a tema? Gli obiettivi da raggiungere di che tipo sono? Tecnici, tattici….
Facciamo un esempio insieme. Dimmi un allenatore che ti piace.
De Zerbi.
Ok, perfetto.
Dunque, siamo in allenamento e stiamo per fare una partita 11 contro 11. La tua squadra, che abbiamo supposto segua i principi di mister De Zerbi, avrà come obiettivo quello di liberare più volte possibili un giocatore mediante la giocata con il terzo uomo, per esempio. Ogni tre volte (od ogni volta, questo dipende dalle scelte dell’allenatore) che viene effettuato questo tipo di giocata la squadra realizza un punto.
Ora supponiamo che la mia squadra squadra invece segua principi simili a quelli di Jurgen Klopp e che quindi avrà come obiettivo segreto quello di recuperare più palle possibili nella metà campo avversaria. Anche qui, allo stesso modo, ogni tre volte che questo avviene guadagno un punto.
Solitamente poi a questi obiettivi tecnico/tattici ne associo anche uno che riguarda la modalità con la quale andare a segnare che, se raggiunto, vale triplo. Nel caso della tua “squadra De Zerbi” potrebbe essere quello di attrarre la squadra rivale nella tua metà campo con 4-5 passaggi per poi verticalizzare in avanti, quindi se segni con massimo 7 passaggi, per esempio, vale triplo.
Nel mio caso invece il gol da 3 punti potrebbe verificarsi nei casi di conclusione a rete con attacco della profondità tramite un passaggio filtrante.
A questi punteggi ovviamente vanno sommati i punti della partita e quindi con gol “normali”. La cosa importante per la buona riuscita della partita è però quella di non sottolineare immediatamente ai ragazzi quando viene effettuato uno dei punti “segreti”, ma attendere un po’ di tempo dopo che la situazione specifica che ha portato ad un gol aggiuntivo si sia verificata. Solitamente aggiorno loro il risultato in un momento in cui non sta succedendo nulla, in maniera tale che loro siano costretti a pensare. “Che cosa è successo prima? Quale situazione si è verificata?”.
Alla fine vince la partita chi riesce ad indovinare i due temi della squadra avversaria. Ognuna ha due, massimo tre possibilità nel corso della partita per svelare gli obiettivi avversari e se riesce a farlo vince la partita o ha diritto a punti bonus in più.
Ti capita di allenare principi apparentemente agli antipodi come l’esempio appena fatto? E quindi alternare proposte che presuppongano situazioni di gioco maggiormente di palleggio ad altre più dirette?
Certo che si, a me piace che i ragazzi sappiano interpretare e fare tutto. Estremizzare non va mai bene. A me può anche piacere partire dal basso, ma se gli avversari mi vengono a prendere alto uomo su uomo che faccio? Posso abbassare un uomo ma se poi mi vengono a prendere anche questo? Mi abbasso in 10?
Per questo i ragazzi devono sapere quando poter fare una cosa e quando invece è meglio adottare un altro tipo di situazione, l’importante è che si faccia la cosa giusta per andare a fare gol.
A me piace giocare e farlo, come ti dicevo prima, con ritmo. In questo voglio che le squadre che alleno si avvicinino per quanto possibile alle squadre di basket NBA, che hanno 24 secondi per andare a canestro ma che spesso lo fanno in 10-12 secondi.
In un tipo di calcio così tanto incentrato sul ritmo, che importanza dai alle preventive? E’ un aspetto che curi?
Ti sembrerà strano ma da giocatore io ho iniziato a lavorare davvero sulle preventive a Napoli, perché prima si giocava un altro tipo di calcio in cui le preventive le facevano i centrocampisti che marcavano gli attaccanti e i difensori si staccavano in seconda linea. Il concetto era, in maniera semplicistica, quello di “non far girare l’avversario” una volta che questo aveva ricevuto palla. Il concetto di preventiva che ho imparato in seguito, e che ho riportato con i ragazzi della Fiorentina, è però diverso. Io non voglio che il giocatore avversario in possesso della palla non riesca a girarsi, ma voglio che non sia nemmeno in grado di poter ricevere, o perché non parte il passaggio o perché lo anticipo.
Si sente spesso parlare della regola dei 5 secondi per la riconquista dopo di che scappo dietro la linea della palla. A me questo non piace, le mie squadre devono riuscire a recuperare palla in 5-6 secondi e se non lo fanno significa che stiamo correndo male.
Questo però non significa che è compito solo di chi porta la pressione riconquistare il possesso. Anzi, spesso la loro funzione è solo quella di forzare un lancio lungo sporco in avanti degli avversari, situazione dove noi dobbiamo essere pronti all’intercetto andando forte nei duelli. Se la intendiamo così, allora si, lavoriamo molto sulle preventive.
Nelle situazioni di palla inattiva stessa cosa. Un uomo in più degli avversari che presidia la profondità insieme al portiere e tutti gli altri in duello con gli attaccanti avversari con l’obiettivo di conquistare palla su una eventuale respinta lunga attaccando in avanti.
Hai trovato difficoltà nel trasmettere questo atteggiamento così propositivo ai ragazzi?
Sì e no. In prima battuta, quando le cose gliele dicevo percepivo nelle loro facce e nei loro sguardi qualche dubbio, ma quando poi ci siamo trovati sul campo e loro hanno toccato con mano i vantaggi di questo tipo di idea e comportamento è cambiato tutto.
Quando siamo all'interno di una squadra bisogna sempre considerare che ci troviamo di fronte a personalità diverse: c'è che fa le cose perché gli vengono dette e chi invece prima di farle deve vederle e capire. Per ogni giocatore bisogna sempre trovare la chiave giusta.
Flessibilità e adattamento. Quanto sono importanti questi principi, oltre che per te come allenatore, per la tua squadra?
Anche qui ti porto un esempio pratico. Siamo andati a giocare a Bogliasco un Sampdoria – Fiorentina (U16, stagione 2019/20, n.d.r.). Il campo era praticabile perché la palla scorreva ma la quantità di fango in campo rendeva la partita quasi ingiocabile. Ricordo che ai ragazzi dissi proprio che occasioni di quel tipo, in cui si era costretti ad adattarsi, sono occasioni enormi per crescere. Fummo costretti ad adattare il nostro modo di giocare. Penso sia una cosa normale, utile e soprattutto intelligente di far fronte a determinate condizione esterne che influenzano fortemente ciò che accade in campo.
E’ un po’ come se una persona a cui piace molto vestire elegante non cambiasse il suo abbigliamento nemmeno nel caso in cui debba fare una partita a tennis. Bisogna sempre capire il momento.
Inizialmente noi non adattammo il nostro gioco alle circostanze, i ragazzi erano troppo abituati a cercare un determinato tipo di soluzioni, più propositive e ricercate e meno “casuali”. Andammo sotto 1-0, ma poi nel secondo tempo riuscimmo comunque a proporre una partita in cui fummo superiori, facendo la partita nella loro metà campo seppur con modalità a cui noi non eravamo abituati. Fu un tassello importantissimo per la crescita dei ragazzi che capirono che non si tratta sempre solo di fare quello che si è capaci di fare bene, ma di fare quello che è necessario in determinati momenti.