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In Olanda hanno trovato un nuovo modo per misurare il talento

"Se si guarda una partita di calcio quello che si vede sono atleti che corrono e saltano e per questo non è sorprendente l'idea che si tratti principalmente di un'attività fisica. Tuttavia negli ultimi 10 anni abbiamo provato che si tratta, prima di tutto, di un'attività celebrale. Prima di correre o saltare devi prendere una decisione, per questo l'attività celebrale è importante tanto quanto la performance fisica" Eric Castien, fondatore di BrainFirst

Ci sono voluti quattro anni a Castien e ai neuroscienziati di BrainsFirst per dimostrare che potevano identificare le funzioni cerebrali necessarie per essere un giocatore d’élite. Dopo averlo fatto, hanno avuto bisogno di ulteriori anni sei per dimostrare che potevano usare i loro dati per prevederne le prestazioni future. Oggi, sulla base di una ricerca neuroscientifica decennale, possono dire di aver trovato un modello che consenta loro di poter misurare le competenze cognitive dei giovani calciatori e prevedere una loro proiezione nel medio lungo termine.

Castien non è uno scienziato, ma un giornalista con una spiccata curiosità sul concetto di identificazione di talenti che lo ha portato a confrontarsi sul tema con gli allenatori di alcuni dei club più rinomati al mondo in ambito di settore giovanile. Da questo viaggio è nato il suo libro sull’argomento, purtroppo solamente in versione olandese, “De Prestatiecode”, in cui tratta il modello di identificazione del talento utilizzato nelle accademie di Real Madrid e Barcellona.

“Tutti all’interno di queste accademie sapevano tutto sul talento ed entrambi i club concordavano sul fatto che la valutazione del talento si riduceva a quattro fattori: tecnico, tattico, fisico e mentale. Il problema era che esisteva un quinto elemento, che non riuscivano ad identificare: quello cognitivo. Non erano ignari del fatto che esistesse, ma semplicemente si trattava di un qualcosa che non riuscivano a decodificare e trasformare in dati tangibili ed utilizzabili. Noi ci siamo riusciti.”

Castien, grazie al supporto di due neuroscienziati dell’Università di Amsterdam, è quindi riuscito a creare un modello di QI calcistico, creando un ponte fra calcio e neuroscienze. Il suo software consente, attraverso quattro veri e propri giochi, di misurare 16 funzioni cerebrali legate al calcio, come il tempo di reazione, la velocità di elaborazione delle informazioni e l’anticipazione. Attraverso l’analisi e il confronto con le più grandi accademie olandesi, oggi BrainsFirst ha stabilito un punto di riferimento del profilo cerebrale ideale necessario per diventare un calciatore professionista. 

Fra i club dell’Eredivise che più hanno creduto nella potenzialità degli studi di Castien ci sono PSV e AZ Alkmaar:

"Abbiamo soglie specifiche che i giocatori della nostra academy devo raggiungere in termini di velocità, abilità tecniche, conoscenza del gioco o motivazione e credo che lo stesso debba valere per le abilità cognitive: i nostri giovani calciatori devono possedere determinate qualità in fatto di velocità di pensiero e capacità di raccogliere e utilizzare le informazioni del gioco" Jurrit Sanders, PSV Lead Academy Sports Scientist

Secondo Castien “Il calcio è un gioco complesso di spazio e tempo. Ecco perché i giocatori d’élite hanno bisogno di alcune abilità cognitive specifiche, oltre alle capacità atletiche, per essere in grado di seguire il gioco sul campo e parteciparvi con successo”.

 

Lo sviluppo cognitivo, un processo limitato nel tempo

Uno dei punti più interessanti degli studi effettuati da BrainFirst è quello relativo alla possibilità di sviluppo cognitivo nel tempo. A differenza dello sviluppo fisico, in cui in alcuni casi la crescita può verificarsi anche abbastanza tardi, Castien sostiene che se lo sviluppo mentale di un giocatore è scarso in giovane età, non sarà in grado di raggiungere cognitivamente i propri compagni di squadra in seguito. 

“Stiamo parlando di giocatori d’élite che devono essere eccezionali già in giovane età. La loro carriera professionale è relativamente breve, quindi se il cervello calcistico è indietro da giovane, sarà indietro anche quando avranno 21 anni. Naturalmente si potrà migliorare con l’allenamento sia dentro che fuori dal campo, ma se le prestazioni cognitive sono considerevolmente più scarse del necessario, il miglioramento richiesto è troppo impegnativo per recuperare. Per un’accademia, questo è molto rischioso. Ecco perchè nei casi in cui l’accademia deve scegliere quali fra due ragazzi lasciare o tenere noi consigliamo sempre di tenere quello con il punteggio cognitivo più alto”. 

Quello che all’apparenza può sembrare un giudizio piuttosto crudo, soprattutto considerando che viene fatto a seconda dei casi su giovani ragazzi o addirittura bambini, viene però smorzato dalla natura degli studi stessi. Questi infatti, non si basano su dati di intelligenza generale, ma solo ed esclusivamente su quella calcistica. Si tratta puramente di parametri di valutazione per capire se il giovane calciatore si potrebbe adattare in futuro al calcio d’elitè. “Per me, prendere decisioni sui talenti basate su opinioni e ragionamenti soggettivi è più ingiusto. I test invece” dice Castien “sono almeno oggettivi”.

Tuttavia, non significa affidarsi solo ed esclusivamente ai risultati dei test, ma si tratta anche di un lavoro di compensazione. Così come un giocatore può non essere particolarmente tecnico ma avere altre qualità in grado di compensare la sue mancanze – spiccate doti in termini di velocità per esempio – alcune lacune cognitive potrebbero essere colmate da altre caratteristiche appartenenti ad una delle altre sfere. “Se in una scala da 1 a 200 un test cognitivo offre un risultato di 50, per esempio, si potrebbe comunque ottenere un giocatore di livello adatto ad un alto contesto competitivo nel caso in cui riuscisse a compensare tale risultato con uno degli altri fattori. Ma se non sei in grado di farlo, allora quel ragazzo risulterà un giocatore ad alto rischio di investimento e diventa molto importante per il club tenerlo in considerazione.”

Il caso di studio dell’AZ Alkmaar

Le squadre di calcio non sono strutture puramente accademiche. Vogliono vincere e fare soldi. Per questo una volta spiegato alle accademie olandesi il proprio modello di identificazione del talento e ciò che rendeva un giocatore d’élite, per alcune di esse, l’AZ Alkmaar su tutte, lo scopo è diventato quello di prevederlo.

Oltre alle valutazione tecniche fornite dai propri allenatori, ogni ragazzo dell’academy è stato sottoposto ad un test che ha fornito, ad ognuno di essi, un punteggio relativo al potenziale cognitivo. Il passo successivo di BrainFirst è stato quello di dimostrare che il gruppo di giocatori identificati come quelli di miglior potenziale si comportavano meglio degli altri nell’arco dei successivi sei anni. 

“Questo è quello che abbiamo fatto. Uno studio ha dimostrato che il gruppo cognitivamente più performante all’interno della loro fascia di età ha sviluppato un valore di mercato da sei a sette volte superiore rispetto al gruppo con le prestazioni più basse. Dimostra che bisogna investire nei giocatori intelligenti.”  BrainFirst non ha trovato un modo per reinventato il cervello. Ha semplicemente collegato la funzione cerebrale al campo di calcio.

Oggi all’AZ il test cognitivo è diventato parte integrante del modello di selezione dei giovani calciatori del proprio settore giovanile. Se i risultati dei brain test non producono risultati soddisfacenti e gli altri indicatori (fisico, tecnico, tattico, mentale) non sono abbastanza forti da poterli compensare, è molto probabile che l’investimento sul ragazzo in questione non venga ritenuto tale da poter ottenere un ritorno. Semplicemente viene visto come troppo ad alto rischio. 

“Il calcio oggi sta diventando più veloce e più impegnativo. E’ più complesso.” sostiene Castien “Se hai meno spazio e meno tempo, devi risolvere i problemi più velocemente. Non siamo noi che stiamo dicendo che il calcio richiede giocatori più intelligenti, ma è il calcio stesso che sta dicendo che richiede giocatori più intelligenti. Noi stiamo aiutando l’AZ a identificare coloro che possono soddisfare i requisiti richiesti dal gioco”.

L'AZ Alkmaar è la detentrice della UEFA Youth League

Oggi, l’intuizione, l’investimento e l’impegno dell’AZ nel voler identificare il quinto elemento del calcio ha fornito al proprio settore giovanile un vantaggio competitivo che altri club, tra cui il PSV, stanno cercando di raggiungere. La loro capacità di pensare in maniera differente ha portato lo scorso anno il club ha vincere l’edizione 2023 della UEFA Youth League contro compagini molto più blasonate del club olandese. Club come l’AZ hanno compreso che avere una visione molto più ampia ed aperta è un mezzo fondamentale, perché sanno che qualora volessero solo copiare le squadre più forti saranno sempre destinate a perdere a causa della differenza di budget. L’AZ lo ha compreso e ha avuto il coraggio di fare le cose in maniera non convenzionale, riuscendo ad identificare uno dei punti ciechi in fatto di scouting e valutazione del talento.

Conclusioni

I test cognitivi applicati al calcio forse rappresentano uno degli ultimi pezzi di un puzzle in cui è davvero difficile scoprire qualcosa di nuovo. E non perchè sia già tutto “inventato” come spesso si sente dire, ma forse più per mancanza di coraggio nel voler mettere in discussione le conoscenze fin qui acquisite in favore di qualcosa di nuovo, differente. Molti club hanno come scopo principale per il proprio autosostentamento quello di produrre talenti all’interno del proprio settore giovanile, pochi però hanno una chiara idea di quello che dovrebbe essere il processo di identificazione del tipo di talento che vogliono per le proprie academy, specialmente durante la fase di scouting. I brain test hanno mostrato un nuovo modo per impostare, o aggiungere valore, ai processi identificativi dei club, offrendo una possibilità alternativa a chi ha il coraggio di pensare fuori dal comune di poter competere con i budget dei più grandi club del panorama calcistico.